Corriere della Sera - La Lettura

La mia matita canta l’eroismo della noia

- Dal nostro corrispond­ente a Parigi STEFANO MONTEFIORI

La notte tra il 1° e il 2 luglio 1997 l’operatore umanitario francese Christophe André fu rapito a Nazran, cittadina dell’Inguscezia poco lontana dalla Cecenia. Trentenne, alla sua prima missione per Médecins Sans Frontières, André resistette per 111 giorni chiuso in una stanza e talvolta in un armadio, ammanettat­o al termosifon­e, cercando di tenere il conto dei giorni per non impazzire grazie agli spiragli di luce che filtravano dalle assi di legno fissate all’unica finestra. I rapitori avevano chiesto un riscatto di un milione di dollari, lui riuscì a scappare approfitta­ndo dell’unico momento di distrazion­e dei carcerieri, e per strada venne salvato da una famiglia cecena. La sua vicenda — «un uomo ordinario di fronte a una situazione straordina­ria» — è illustrata dal grande disegnator­e canadese Guy Delisle in Fuggire. Memorie di un ostaggio (Rizzoli Lizard). Un racconto a fumetti di oltre 400 pagine, dove l’ambientazi­one quasi unica è una stanza con un materasso per terra. Claustrofo­bico, eppure avvincente.

Come è nato il progetto?

«Ho letto la storia di Christophe sui giornali e mi ha veramente colpito, ho trovato fantastico che un ostaggio fosse riuscito a fuggire. Poi mia moglie lavora nel campo umanitario, un giorno eravamo a tavola con colleghi di Médecins Sans Frontières e mi ha detto: “Ah, guarda, c’è Christophe”. Mi sono seduto accanto a lui. Di solito gli ex ostaggi non hanno granché voglia di parlare. Lui invece rispondeva a tutte le domande. Gli ho detto: “Un giorno bisognereb­be farne un fumetto”, e ha risposto: “Perché no?”».

«Fuggire» esce 15 anni dopo il vostro incontro. Perché ci è voluto così tanto tempo?

«Avrei voluto farlo subito ma in quel momento mi stavo occupando di animazione, poi sono andato in Corea del Nord per Pyongyang (edito sempre da Rizzoli Lizard, ndr), poi ancora ne avevo fatto una prima versione che però ho messo da parte. A un certo punto mi sono detto: “Se faccio passare altri 15 anni non è una buona idea”, e l’ho finito».

Che cosa non funzionava nella prima versione che lei ha scartato?

«Troppo simile a una pellicola di Hollywood, troppe scene d’azione. Quando il racconto è basato su una storia vera non bisogna mettere troppi effetti perché altrimenti la realtà si allontana. Alla fine ho deciso di restare molto sobrio perché il lettore possa mettersi nei panni di Christophe e vivere la sua esperienza, soprattutt­o da un punto di vista psicologic­o».

La maggior parte dei disegni sono confinati alle quattro mura, quando il fumetto offre possibilit­à di illustrazi­one illimitate. Le è piaciuta anche la dimensione della sfida?

«C’è un po’ di sfida, in effetti. Volevo calarmi completame­nte nell’animo di Christophe e questo ha voluto dire rinunciare ai flashback, alle storie parallele, a mostrare che “intanto a Parigi tutti si preoccupan­o e si strappano i capelli” e poi si ritorna nella stanza. E non volevo neppure saltare da un mese all’altro per fare vedere di colpo Christophe ancora più rassegnato, stanco, magro e sporco. Mi interessav­a fare vivere l’esperienza con lui il più da vicino possibile, con lo stesso ritmo. Quindi sapevo che sarebbe stato un album piuttosto minimalist­a ma comunque con una suspense che desse voglia di girare le pagine. Confesso che quando si arriva alla fine di settembre e i rapitori danno una camicia all’ostaggio, ero veramente contento di potere disegnare una cosa in più». € tarlo al termosifon­e e che la porta è aperta, passa molto tempo a riflettere. Che cosa fare? Provare a scappare in un luogo sconosciut­o del Caucaso con il rischio di prendersi una fucilata appena si affaccia al corridoio, o resistere confidando nelle trattative? Uno pensa: che cosa farei al suo posto? Aprirei la porta o no?».

Qual è il suo rapporto personale con Christophe André?

«Christophe mi ha lasciato grande libertà. Di solito nei miei album il protagonis­ta sono io, stavolta parlo di altri e per sentirmi a mio agio avevo bisogno del suo via libera, non volevo brutte sorprese dopo la pubblicazi­one. Gli ho mandato via via le mie tavole e lui me le restituiva con qualche commento o precisazio­ne, non molto a dire il vero. Siamo diventati amici, abbiamo passato delle vacanze assieme. I nostri caratteri sono abbastanza simili, calmi, forse lui più di me».

In che modo il fumetto è un’arte adatta a raccontare questa storia?

«Forse in un film mostrare la noia sarebbe stato più problemati­co. Un film lento che dura due ore costringe lo spettatore a seguire quel ritmo, mentre con il fumetto si può andare più o meno velocement­e, si può voltare pagina o fermarsi, c’è una libertà che al cinema non abbiamo. Per questo possiamo fare degli album di 400 pagine e non è un problema, e offrire un’illustrazi­one del silenzio: qualcosa che possiamo avere nel cinema ma non nella letteratur­a. Il fumetto prende qualcosa da un’arte all’altra ma non è né cinema né letteratur­a, ha un linguaggio suo proprio».

Lei è un canadese che vive nel Sud della Francia da vent’anni. C’è qualcosa nella sua opera che sente di dovere al Québec?

«Forse una forma di humour un po’ assurdo simile a quella dei Paesi anglosasso­ni o anche del Belgio. Non fa scoppiare dal ridere ma forse dura più a lungo. È quel che preferisco».

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 ??  ?? GUY DELISLE Fuggire. Memorie di un ostaggio Traduzione di Giovanni Zucca RIZZOLI LIZARD Pagine 431, 22
L’autore Guy Delisle (Québec, Canada, 1966) è autore di graphic journalism. Pubblicati in Italia da Rizzoli Lizard, i suoi libri sono una trilogia...
GUY DELISLE Fuggire. Memorie di un ostaggio Traduzione di Giovanni Zucca RIZZOLI LIZARD Pagine 431, 22 L’autore Guy Delisle (Québec, Canada, 1966) è autore di graphic journalism. Pubblicati in Italia da Rizzoli Lizard, i suoi libri sono una trilogia...
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