Corriere della Sera - La Lettura
La furia dei vulcani siberiani da cui si salvarono i molluschi
Perché la vita sulla Terra impiegò così tanto a recuperare dopo le grandi estinzioni che l’avevano colpita? Analizzando le caratteristiche di alcuni sedimenti fossili marini raccolti in Italia, un gruppo di ricercatori dell’Università del Texas ha trovato una spiegazione pubblicata su «Plos One», utile non solo per decifrare il passato, ma anche per il futuro della Terra. Cinque estinzioni di massa hanno lasciato segni geologici: la prima avvenne 450 milioni di anni fa e l’ultima 66 milioni di anni fa, famosa perché collegata alla scomparsa dei dinosauri. Ma la peggiore di tutte, la più distruttiva, risale a 252 milioni di anni fa, alla fine del periodo Permiano: annientò il 95 per cento della vita marina e il 70 di quella terrestre. Il tremendo evento detiene anche un altro record, cioè il più lungo periodo di ripresa della vita, che richiese da 5 a 8 milioni di anni. L’enigma è stato sciolto misurando i livelli di due isotopi del carbonio (12 e 13) nei campioni di roccia delle Dolomiti collegati ai cicli del carbonio connessi al vulcanismo. A provocare la grande estinzione era stata, infatti, una prolungata serie di eruzioni nella zona del Trappo siberiano, ritenuta, forse, il più gigantesco evento vulcanico registrato nella storia terrestre. Gas e polveri emessi sconvolsero il clima, innescando anche una seconda e terza estinzione avvenute rispettivamente mezzo milione e 1,5 milioni di anni dopo la prima più rilevante. In mare sopravvissero in particolare i molluschi, grazie alla loro piccola taglia. La comprensione dei tempi di ripresa — notano i ricercatori — è preziosa per capire il comportamento dell’ecosistema terrestre davanti al riscaldamento del clima.