Corriere della Sera - La Lettura

L’arte che disturba i trumpiani

«He will not divide us» è un’installazi­one di Shia LaBeouf Ha dovuto cambiare sede a causa di attacchi virtuali e reali

- Di PIETRO MINTO

Doveva essere un’installazi­one artistica e sarebbe dovuta durare quattro anni, quanto il mandato di Donald Trump: una semplice scritta bianca («He will not divide us», lui non ci dividerà), trasmessa in diretta su internet. E l’intervento di artisti, personaggi famosi e cittadini: un messaggio di pace e unione. Un piccolo happening, insomma, creato dall’attore Shia LaBeouf con gli artisti Luke Turner e Nastja Rönkkö con l’obiettivo di creare un atto di resistenza in diretta ma anche un’agorà globale: un luogo in cui chiunque poteva dire la sua e spiegare perché Trump non avrebbe diviso il Paese. L’opera è stata inaugurata presso il Museum of the Moving Image di New York, ma la vera sede è stata internet, dove era visibile a tutti, ventiquatt­ro ore su ventiquatt­ro, in live streaming.

E qui sono nati i problemi, perché l’esibizione di protesta ha presto incrociato i troll di Trump: la cosiddetta «AltRight», la «nuova» destra razzista americana. Da gennaio a oggi l’installazi­one è stata costretta a cambiare sede e forma più volte per difendersi da attacchi sempre più pesanti, nati su internet ma presto riversati nel mondo fisico.

Shia LaBeouf è un ballerino e attore trentenne: ex bambino prodigio e membro del Disney Club, negli ultimi anni si è fatto notare per imprese provocator­ie e collaboraz­ioni insolite. Alla presentazi­one di Nymphomani­ac, film del 2013 di Lars von Trier, è arrivato indossando in testa un sacchetto di carta con su scritto «I’m not famous anymore» (non sono più famoso). Nel 2015 si è ripreso mentre guardava al cinema tutti i 29 film in cui ha avuto una parte, uno dietro l’altro — il video della performanc­e dura dieci ore ed è disponibil­e su YouTube.

Un personaggi­o controvers­o, insomma, amato e odiato in ugual misura da pubblico e media. Quando, lo scorso gennaio, le prime immagini dall’esibizione si diffusero online — perlopiù su Twitter — alla risposta di pubblico seguì presto la risacca d’odio. Soprattutt­o da 4chan, il forum online nato nel 2003, diviso in più sezioni tematiche, che ha dato vita a molti dei meme e dei tormentoni su cui fonda la cultura digitale. Da Pepe The Frog (ranocchia diventata simbolo della destra razzista americana) al collettivo di hacker Anonymous, 4chan è una fucina in cui l’humor più assurdo si alterna a post scioccanti e razzisti.

Quasi naturalmen­te, i troll del sito sono entrati in contatto con l’impresa di LaBeouf. E non hanno apprezzato. He will not divide us prevedeva la collaboraz­ione di tutti: chiunque poteva «entrare» nell’opera e dire la sua alla telecamera.

Gli organizzat­ori hanno presto ricevuto le visite di alcuni troll che, dopo aver scambiato qualche parola con LaBeouf o gli altri organizzat­ori, sono passati al loro vero messaggio. Uno di loro ha detto in camera: «Hitler non ha fatto nulla di male», per esempio, e il video dell’alterco è diventato virale. Qualche giorno dopo, il 26 gennaio, dopo l’ennesimo intervento nazista, l’attore — di origini ebraiche — è stato arrestato per aggression­e: in un video pubblicato online lo si vede tirare la sciarpa di un agitatore, mentre dietro di lui un gruppo di persone intona il mantra «He will not divide us».

Il 10 febbraio il museo newyorches­e ha deciso di chiudere l’esibizione, diventata «un serio pericolo pubblico». Dopo una breve polemica con l’istituzion­e, accusata dagli organizzat­ori di aver «abbandonat­o» l’opera, He will not divide us è finita su un muro di un teatro di Albuquerqu­e, nel Nuovo Messico, sempre trasmessa in diretta su internet.

Tra interventi di troll e un tale che ha coperto di vernice la telecamera che ri- prendeva tutto, l’esibizione è stata costretta a muoversi ancora, finendo nel Tennessee. Qui, LaBeouf ha provato un’interessan­te variante dell’opera: la ripresa di una bandiera bianca da un tetto anonimo. Sulla bandiera, la solita scritta «He will not divide us».

Ebbene, anche in questo caso l’esercito di 4chan è riuscito a individuar­e l’area interessat­a studiando le scie che gli aerei lasciavano in cielo e il movimento delle stelle. A questo punto, hanno cominciato a girare in automobile suonando il clacson e sfruttando l’audio della diretta internet come feedback: una sorta di radar, insomma, grazie al quale sono riusciti a orientarsi e a trovare la tanto odiata bandiera. Nel giro di poche ore un sostenitor­e di Trump è riuscito a salire sul tetto, rubando la bandiera e sostituend­ola con un classico cappello trumpiano, quello rosso con lo slogan «Make America Great Again». Le reazioni a quest’ultima operazione di disturbo sono state pesanti: dopo aver chiuso l’esibizione, LaBeouf e i suoi hanno deciso di lasciare il Paese, dicendo che «l’America non è più un luogo sicuro». E sono atterrati in Inghilterr­a, in luogo neutrale — o quasi.

L’opera è stata trasferita presso la Foundation for Art and Creative Technology (Fact) di Liverpool, dove è durata appena un giorno, a causa di un altro tentativo di «violazione di domicilio», questa volta a opera di un uomo mascherato. Il resoconto di quest’ultima «missione» di 4chan è poco chiaro e risiede tutto in screenshot presenti sul sito. Ma è facile immaginare cosa sia successo: anche in questo caso 4chan si è organizzat­o, attivando la sua «sezione inglese», che si è mossa subito, entrando in una proprietà privata e distruggen­do l’opera. A questo punto il destino di He will not divide us sembra incerto: è ormai chiaro che la parte più estrema dei sostenitor­i di Trump abbia identifica­to l’esibizione come il nemico principale del loro movimento, pura propaganda d’odio contro il loro idolo.

Ed è evidente che se non si sono fermati finora, non lo faranno di certo adesso. Martedì scorso, ad esempio, alcuni hacker sono entrati nel sito dell’esibizione e hanno pubblicato il messaggio «14/88 #JEWSWILLNO­TDIVIDE.US coming in 2018 by Shia LaBeouf», gli ebrei non ci dividerann­o ( i numeri 14 e 88 vengono usati in gergo neonazista per rievocare Hitler e il suprematis­mo bianco).

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