Corriere della Sera - La Lettura

Non ridete, il mandolino è una cosa seria

- Di GIUSEPPINA MANIN

Chris Thile ha cominciato a suonare a 5 anni, ora è diventato un virtuoso capace di passare dal bluegrass al jazz, alla classica. Esce un suo disco con il violoncell­ista Yo-Yo Ma: «Bach è il più grande di tutti. Ne colgo e ne trasmetto la voce intima»

Tutta colpa di Funiculì Funiculà. E pure di Piedigrott­a, di Pulcinella, degli ambulanti che lo pizzicano per intenerire i turis t i . Trappole di fo lc l ore c he l’hanno imbrigliat­o in troppi cliché e in un poco onorevole slogan con pizza e mafia, simboli di un’Italia malavitosa. Il mandolino non merita tutto questo. La sua fama popolare non tragga in inganno. La forma elegante, spesso intarsiata di ebano e avorio, le curve morbide che invitano a prenderlo in braccio, il timbro argentino, svelano origini nobili e raffinate. Strumento di natura duttile, a suo agio nelle corti come nei salotti o nelle strade, il mandolino è aperto a ogni esperienza. Folk, country, classica, lirica, è sempre pronto a modellare la sua voce sui generi e autori più disparati. Dalle canzoni di Salvatore Di Giacomo all’incantevol­e Concerto in do maggiore di Vivaldi. Da Respighi, che gli affida il momento crepuscola­re delle Feste romane, a Beethoven che per lui scrive quattro pezzi, in coppia con il pianoforte, mentre le Serenate di Paganini lo mettono insieme con la chitarra. Quanto a Mahler, gli dà spazio nella Settima e anche in Das Lied von der Erde.

Strumento seduttivo, ideale per serenate, può vantare conquiste da far invidia al catalogo di Leporello. Non a caso Mozart lo affida a Don Giovanni per provarci con la cameriera di Donna Elvira intonando nell’ombra Deh, vieni alla finestra. E Donizetti lo userà nella Lucia di Lammermoor, Verdi in Otello, Puccini in Gianni Schicchi... Nel Novecento tra i suoi estimatori troviamo Schönberg e Petrassi, Henze e Boulez... Insomma, nell’arco di 500 anni, più o meno quanti ne data, la carriera di un mandolino può considerar­si variegata e scapestrat­a quanto quella del famoso libertino di Stravinski­j. Ma i cliché sono duri a morire. E per il Nostro lo stereotipo nazional popolare è sempre in agguato.

A scongiurar­lo, adesso ci pensa Chris Thile, prestante giovanotto california­no, 36 anni, due matrimoni, un divorzio, un amore eterno. Per il mandolino. «Ho iniziato a suonarlo a 5 anni — racconta a “la Lettura” — e non ho più smesso. A 8 con lui facevo del bluegrass in una band di famiglia, i Nickel Creek, a 12 ho vinto il primo premio a un campionato di mandolino... Entrambi siamo convinti che nella musica non ci siano confini e così non ci siamo negati nulla: bluegrass, rock, country, folk, jazz... E classica, naturalmen­te».

Prima con i Nickel Creek, Thile pubblica tre album, due milioni di copie vendute e un Grammy Award. Poi arriva Gabe Witcher. «Un amico d’infanzia, che suona benissimo il violino, con cui ho dato vita ai Punch Brothers. Mi piace la band, si suona quello che si vuole, si beve insieme, si piangono sulla spalla dell’altro i propri amori finiti...».

Ma il mandolino scalpita, non lo si può tenere a freno. E allora nel 2009 Chris gli dedica un suo concerto, speciale fin dal titolo, Ad astra per alas porci, che può voler dire Porci con le ali, eseguito dalla Colorado Symphony Orchestra e in cui la critica ritrova echi di Bartók. Le sonorità classiche lo attirano sempre di più. Con Mike Marshall, altro virtuoso del mandolino, Thile duetta in un album dove alternano brani di Charlie Parker a quelli di Bach. Poi è la volta di Yo-Yo Ma. Tra il grande violoncell­ista nomade della musica, sperimenta­tore di generi, messaggero di pace, e l’inquieto Jude Law del mandolino (evidente la sua somiglianz­a con l’attore), l’intesa è immediata. Nel 2011 Chris, Yo-Yo e il contrabass­ista Edgar Meyer incidono The Goat Rodeo Session. Un altro titolo fortunato (due Grammy Award) e stravagant­e. «Allude alla scelta — spiega Chris — che sei costretto a fare quando ti trovi davanti a un bivio. Ogni volta è un salto nel vuoto».

I tre si divertono così tanto a saltare che adesso si ritrovano in un nuovo album,

Bach Trios (appena uscito da Nonesuch Records), che raccoglie brani originaria­mente composti per strumenti a tastiera, qui trascritti per violoncell­o, contrabbas­so e mandolino. «Johann Sebastian — assicura Thile — è il più grande di tutti. Non è affatto un autore difficile, da ascoltare solo in religioso raccoglime­nto. Se riuscissim­o a dimenticar­e i tanti “pregiudizi” su di lui, con Bach si potrebbe persino danzare». Si potrebbe obiettare che per quelle grandi sonorità il mandolino ha una voce troppo esile. «Vero, ma l’intimità che suggerisce è inimitabil­e. È come se invece di enunciare qualcosa di solenne, tu lo sussurrass­i all’orecchio di un amico. Come per confidargl­i un segreto».

Una lettura insolita, capace di offrire una visione tutta nuova di quel repertorio, e proprio grazie a uno strumento dimenticat­o. Che ora torna alla ribalta in versione colta sia nei conservato­ri, dove di recente sono state aperte molte classi a lui dedicate, sia nei concerti di virtuosi. Vedi l’israeliano Avi Avital, specialist­a nel barocco, che tanto successo ha riscosso allo Stradivari Festival di Cremona. Vedi lo stesso Chris Thile, che a novembre accompagne­rà in un tour italiano il suo amico a quattro corde doppie per fargli respirare l’aria di casa. © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

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