Corriere della Sera - La Lettura
Il bello di scrivere per strumenti rari
Immaginate la storia della musica come un gioco di rilanci. Al primo giro i compositori inventano pagine più ricche, gli interpreti si scontrano con le possibilità dei loro strumenti, i costruttori intervengono con nuove soluzioni. I nostri pianoforti, corni, clarinetti sono l’esito di questo percorso. Al secondo giro sono i costruttori ad alzare la posta, ideando strumenti capaci di suoni nuovi e i compositori raramente rimangono insensibili. Con questo domino, abbiamo giocato e giochiamo da secoli. Per chi scrive musica, immaginare di avere a disposizione suoni fuori dall’ordinario è come, per un cuoco, fare la spesa in un mercato esotico: ti riempi la sporta di idee, profumi, suggestioni, che poi provi a combinare in nuove ricette. Per alcuni decenni, nel Novecento, il suono nuovo — spesso ottenuto da strumenti tradizionali suonati con tecniche innovative — è stato addirittura il feticcio di molta musica. Oggi ascolto globalizzato e possibilità elettroniche hanno un po’ smorzato gli entusiasmi. Ma se volete eccitare un compositore, proponetegli uno strumento che non conosce: gli vedrete brillare gli occhi.