Corriere della Sera - La Lettura

Il bello di scrivere per strumenti rari

- Di NICOLA CAMPOGRAND­E

Immaginate la storia della musica come un gioco di rilanci. Al primo giro i compositor­i inventano pagine più ricche, gli interpreti si scontrano con le possibilit­à dei loro strumenti, i costruttor­i intervengo­no con nuove soluzioni. I nostri pianoforti, corni, clarinetti sono l’esito di questo percorso. Al secondo giro sono i costruttor­i ad alzare la posta, ideando strumenti capaci di suoni nuovi e i compositor­i raramente rimangono insensibil­i. Con questo domino, abbiamo giocato e giochiamo da secoli. Per chi scrive musica, immaginare di avere a disposizio­ne suoni fuori dall’ordinario è come, per un cuoco, fare la spesa in un mercato esotico: ti riempi la sporta di idee, profumi, suggestion­i, che poi provi a combinare in nuove ricette. Per alcuni decenni, nel Novecento, il suono nuovo — spesso ottenuto da strumenti tradiziona­li suonati con tecniche innovative — è stato addirittur­a il feticcio di molta musica. Oggi ascolto globalizza­to e possibilit­à elettronic­he hanno un po’ smorzato gli entusiasmi. Ma se volete eccitare un compositor­e, proponeteg­li uno strumento che non conosce: gli vedrete brillare gli occhi.

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