Corriere della Sera - La Lettura

Dall’acqua emerse il Polesine

Le rive, le foci, la gente. Per anni Pietro Donzelli percorse le terre del Po Nessuna contemplaz­ione né lirismo: queste fotografie sono una testimonia­nza civile

- da Rovigo ARTURO CARLO QUINTAVALL­E

Realtà o mito della terra del Po? Confronto politico e dunque ideologia, realismo nel racconto oppure stacco, sogno, raffinato comporre delle immagini e della storia? Ecco, è di questa contraddiz­ione, di questo confronto continuo che vivono le fotografie di Pietro Donzelli (1915-1998) che per otto interi anni, dal 1953 al 1960, fotografa il Po, le rive, le foci, la gente. «Il Polesine — scrive il fotografo nel 1956 — terra emersa dalle acque, è un territorio percorso da canali, collettori, scoli, punteggiat­o di gorghi, misteriose voragini di acque ferme, impronte di chi sa quali cataclismi. Il Polesine si protende a prima vista informe. Diversi sono i colori della terra: rossa, grigia, nerissima: eguale soltanto nella sua esuberanza e in una sua forte solitudine. Su di loro la vastità dei cieli e ovunque il senso di trovarsi in un regno di fluidità calpestand­o le zolle nere e masse di terra dove i vomeri entrano a fatica».

Questa terra, allagata, semidistru­tta dall’alluvione del 1951, ancora nel 1960 si trova ad affrontare un’altra «rot- ta» degli argini, un altro disastro e anche questo deve raccontare il fotografo, e andare sul luogo, e dialogare con la gente, scoprirne i gesti, i movimenti, ma deve sapere costruire, comporre un racconto. Questo viaggio ininterrot­to di Pietro Donzelli è ora raccolto nella mostra di Palazzo Roverella a Rovigo, Terra senz’ombra. Il

delta del Po negli anni Cinquanta, a cura di Roberta Valtorta.

Così, ecco i grandi spazi, ecco il dilatarsi degli orizzonti, ma, sempre, le persone, misura dei luoghi ma anche figure di una narrazione dalla tensione forte, a volte quasi epica. Perché Donzelli sa bene che il grande fiume è mito, fin da Riccardo Bacchelli che la «rotta» la descrive ne Il mulino del Po (1938-1940), e sa bene che il Po è protagonis­ta di molti film, da un episodio di Paisà (1946) di Roberto Rossellini al documentar­io Gente del

Po di Michelange­lo Antonioni (1943-1947) e proprio il film, per Donzelli, è la chiave di ogni fotografia che è come una sequenza concentrat­a. Ma la passione, l’impegno del film neorealist­a, da Ladri di biciclette (1948) di Vittorio De Sica a La terra trema (1948) di Luchino Visconti a Riso amaro (1949) di Giuseppe De Santis non basta a spiegare l’impegno di Donzelli che, in fotografia, da subito, fa le sue scelte.

No alla contemplaz­ione, no alla foto lirica, sognata, estetizzan­te; la foto deve essere altro e il fotografo deve fare come i pittori impegnati, come Armando Pizzinato, come Renato Guttuso, come Giuseppe Zigaina, come tanti altri che vanno a dipingere sui luoghi, quelli dell’occupazion­e delle terre, quelli delle «rotte» del Po, quelli dell’impegno civile dei lavoratori, e lui, Donzelli, percorre il delta, cerca le persone e i luoghi avendo in mente modelli precisi anche in fotografia.

Alcuni, americani, sono evidenti: prima di Paul Strand sono le foto di Dorothea Lange e di Walker Evans del tempo della «Farm Security Administra­tion» che Elio Vittorini aveva pubblicato su «Il Politecnic­o» (1945-

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