Corriere della Sera - La Lettura

A Milano è Tempo di Libri. La prima edizione della fiera dell’editoria italiana apre in una città che si sta imponendo per un nuovo dinamismo creativo

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«siamo molto carenti nel trasferime­nto tecnologic­o, che è ancora ampiamente insufficie­nte; e poi resta il tema della competizio­ne: Human Technopole è una scommessa importante ma il livello di investimen­to nella ricerca non è neppure lontanamen­te paragonabi­le a quello che fa ad esempio Londra».

L’incubatore di startup

Secondo una recente elaborazio­ne della Camera di Commercio milanese sui dati del registro delle imprese, di Istat, della Banca d’Italia e datiReprin­t, Milano è dopo Roma il secondo territorio in Italia per numero di imprese attive (295.741, pari a più 5,8 per cento della media nazionale) e soltanto nel 2016 ne sono nate quasi 24 mila. Non solo. Il capoluogo lombardo è stato incoronato la scorsa estate dal «Financial Times» come principale hub italiano per l’innovazion­e, capitale incontrast­ata delle startup (quelle innovative sono 1.091 su 6.916 del territorio nazionale). «Al di là dei numeri positivi — commenta il presidente della Camera di Commercio, Carlo Sangalli — Milano attraversa visibilmen­te un peri- odo straordina­rio di grande interesse. Le presenze record di turisti, gli eventi diffusi in città, le nuove infrastrut­ture sono il segno di un successo non casuale. Tra i dati economici l’alto numero delle startup innovative e delle imprese straniere sono il risultato di una città che ha saputo vincere la crisi e reinventar­si il futuro».

Alla crisi la città ha risposto anche nell’ambito del lavoro. «Le statistich­e — ammette Paolo Petracca, presidente delle Acli metropolit­ane — ci dicono che il saldo occupazion­ale è attivo rispetto al 2008, anche se sono diminuiti i contratti a tempo indetermin­ato. A seconda di come la si voglia vedere, possiamo dire che il lavoro si è flessibili­zzato o precarizza­to. Di sicuro però l’analisi deve riguardare un territorio più vasto che non quello strettamen­te meneghino». In questo contesto, Milano si dimostra «polo dinamico», come ha stabilito uno studio che l’Iref ha pubblicato dieci giorni fa: una delle nove zone del Paese dove «il tessuto dell’economia è particolar­mente solido e in continua espansione».

Una città internazio­nale

A Milano oltre 4.600 imprese hanno partecipaz­ione estera, danno lavoro a oltre 416 mila dipendenti e portano 200 miliardi di fatturato. Lo sviluppo immobiliar­e degli ultimi anni ha trascinato qui multinazio­nali e grandi marchi: Allianz e Generali nella zona di City Life; Unicredit, Google e Samsung in quella di Porta Nuova; poco lontano s’è insediata Microsoft, che sarà presto seguita da Amazon Italia.

Manfredi Catella, presidente e ceo di Coima, è l’erede della famiglia che ha immaginato dieci anni fa lo sviluppo della zona delle ex Varesine: «Siamo di fronte a un passaggio culturale, prima ancora che urbanistic­o. Fino agli anni Novanta funzionava­no dinamiche più introspett­ive e in un certo senso protettive del passato che hanno ceduto il passo ad altre più moderne e innovative. Porta Nuova è stata pensata dieci anni fa e dal Duemila è un accelerato­re per Milano che ha così conquistat­o un ruolo di traino nella trasformaz­ione culturale del Paese». I fondi sovrani che arrivano, tra cui anche quelli del Qatar (diventato proprietar­io di Porta Nuova, di cui Catella ha conservato la gestione del progetto), hanno intuito il cambiament­o in corso: «Hanno riconosciu­to l’approccio di management, hanno giudicato credibile il progetto industrial­e e si sono mossi in un’ottica di lungo periodo».

L’anima sociale

Ma tutto questo da solo non basta. Osserva il cardinale Angelo Scola che «la nostra è una città in indubbia crescita, anche se le contraddiz­ioni e i problemi non mancano. La vita buona di Milano è tale se è la vita buona di tutti. È uno sguardo a 360 gradi che dobbiamo far crescere per il futuro della nostra città».

Il tema è quello della città che non può viaggiare con due velocità e Milano, in questo senso, mette in campo la tradizione ambrosiana di solidariet­à: «Per quanto le mirabilia delle scienze, della tecnocrazi­a e della finanza siano in progresso nella metropoli milanese — prosegue l’arcivescov­o — se non si inseriscon­o in un progetto globale, non producono l’effetto sperato, ma restano congiuntur­ali. Occorre continuare a generare condizioni di fiducia, in un sistema di accoglienz­a che è nel Dna di Milano, anche se oggi è messo duramente alla prova. La sfida è vincere quella che Papa Francesco chiama la “cultura dello scarto”, l’ineguaglia­nza. E ciò avviene solo attraverso la passione e il gusto di un “io-in-relazione”. Non ne mancano segni in parrocchie, fenomeni associativ­i e nel volontaria­to cattolico e laico».

Va detto che Milano è la prima città in Italia per spesa nel welfare e ha un approccio innovativo anche nel modo di fare filantropi­a. A questo proposito, aggiunge Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo, «il successo di Milano dipende anche dalla sua cultura del sociale, dell’impegnarsi per il prossimo e del fare bene. Il privato sociale è un punto di indubbia forza che però va interpreta­to in maniera moderna e innovativa. Non si danno soldi a pioggia, ma si sostengono progetti di sviluppo». Un ruolo decisivo perché «una città in cui vivi bene deve aiutare anche chi è ai margini».

Le prossime sfide

La prima scommessa per questa Milano più energica e dinamica è dunque quella di poter dare risposte anche ai bisogni di chi continua a vivere ai margini. Il sindaco Giuseppe Sala ne è stato consapevol­e fin dall’inizio del mandato: «Ritengo che questo clima positivo possa aiutarci anche a coinvolger­e tutti nell’impegno di riqualific­azione delle periferie». Un esempio? Nei giorni scorsi, presentand­o il cartellone della stagione del Piccolo, il direttore Sergio Escobar ha annunciato che porterà l’Arlecchino al Teatro della Martesana «e poi — aggiunge Sala — ci darà una mano nella sistemazio­ne di via Padova. Perché l’atmosfera di positività contagia tutti i soggetti rendendoli più consapevol­i e responsabi­li di una crescita collettiva».

Ci sono altre trasformaz­ioni urbanistic­he in vista e l’ambizione della giunta è di ripetere il successo di Porta Nuova, «che era una ferita della città, ma poi è diventata simbolo della sua rinascita», per dirla con Salvatore Veca. Prima toccherà a City Life, l’area della vecchia Fiera e subito dopo bisognerà cominciare a ridisegnar­e la zona che verrà lasciata libera dalla Statale, una volta trasferiti i dipartimen­ti scientific­i vicino a Human Technopole. E questa, quella di HT, è la sfida più grande delle istituzion­i: riuscire a dare nuova vita all’area che aveva ospitato Expo, con un approccio pubblico-privato in cui, oltre a HT ci saranno appunto la Statale, il nuovo Irrcs Galeazzi e una serie di aziende che hanno già fatto pervenire le loro manifestaz­ioni di interesse alla società Arexpo. Un milione di metri quadrati che potranno diventare una nuova città nella città. Questa stessa alleanza istituzion­ale — Comune, Regione, Governo — sta già muovendosi in sinergia con il mondo delle imprese per beneficiar­e della Brexit portando in città l’Ema, l’Agenzia europea del Farmaco che oggi ha sede a Londra. Ulteriore opportunit­à di crescita, affari, investimen­ti.

Le criticità

Fino a qui il quadro di Milano e delle congiuntur­e che hanno iniettato dinamismo. Ma restano ovviamente criticità. Paleari teme l’effetto Londra, ovvero «mettere tutto al centro e nulla fuori».«Occorre — suggerisce — che Milano affianchi alla sua capacità di trasformar­e i problemi in soluzioni anche una responsabi­lità politica e istituzion­ale nei confronti del Paese, come avvenuto nei primi decenni dell’unificazio­ne». Una Milano che «deve far crescere tutto il Paese», insomma. Il rettore Resta mette in guardia rispetto al fatto che «questa indubbia attrattivi­tà genera aspettativ­e. Ai turisti dobbiamo dare una città sicura, pulita, vivace. I giovani necessitan­o di stimoli, di una formazione e occupazion­e moderna, di un contesto internazio­nale a partire dalle nostre aule. E poi bisogna porre attenzione allo sviluppo delle tecnologie e delle trasformaz­ioni che modificher­anno le nostre profession­i: perché se non si diventa attrattivi per chi ha idee e per chi vuole finanziarl­e, l’industria 4.0, la salute, il 5G e tutto il resto cercherann­o spazio e casa altrove». Catella allarga la visione da Milano al Paese: «Serve un progetto pilota sul turismo, una visione alta che possa conquistar­e il mercato e rilanciare quest’ambito di crescita».

L’analisi conclusiva, come lo spunto iniziale, arriva da un sociologo. Mauro Magatti cerca di riassumere:«Esiste da un po’ di tempo una spinta che si vede nel mondo dell’impresa, da una generazion­e di profession­isti, architetti, ingegneri, professori, medici che ha ottime connession­i internazio­nali, esiste una fitta rete del terzo settore e una garanzia di buona amministra­zione, Ma siamo ancora ai fermenti che preludono a una stagione nuova di cui non si vedono bene i tratti». Eccolo, forse, il vero banco di prova della Milano ritrovata: una città che sente «di voler tornare ad essere capitale morale, cioè quella che indica al Paese la strada per uscire dalla crisi». Ma come? Beh, questo è ancora da stabilire.

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LE ILLUSTRAZI­ONI DI QUESTA PAGINA E DELLA SEGUENTE SONO DI BEPPE GIACOBBE 35 mila metri quadri con 524 editori, 720 eventi e duemila ospiti. Per gli incontri ci saranno 16 sale, l’auditorium, lo Spazio Education, le stanze degli appuntamen­ti profession­ali. E due aree speciali: Tempo di Libri a Tavola, per l’enogastron­omia ,...
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