Corriere della Sera - La Lettura
I dinosauri sono vivi e volano tra noi
Paleontologia Un nuovo studio, grazie a fossili ritrovati in Tanzania, ha permesso di classificare un rettile di 245 milioni di anni fa, lungo due metri Il Teleocrater rhadinus ci fa capire che cosa avvenne quando dai progenitori dei coccodrilli si stacca
Di fronte alle centinaia di autori che firmano gli articoli dedicati a nuovi genomi dei quali si è appena determinata la sequenza, non sembrano poi tanti gli undici nomi che compaiono in un lavoro di paleontologia, relativo a un fossile che ci aiuta a chiarire le prime tappe della storia evolutiva dei dinosauri. Non è inusuale nemmeno la presenza, nella lista, del nome di un collega deceduto al quale la sorte ha negato la soddisfazione di vedere pubblicati i risultati della ricerca. Nel nostro caso, però, il destino di Alan Charig è stato particolarmente amaro. Sono trascorsi vent’anni dalla sua morte e addirittura 61 da quando, nella sua tesi di dottorato discussa presso l’Università di Cambridge, Alan descrisse per la prima volta alcuni rettili fossili del periodo Triassico, provenienti da un giacimento del Tanganica (oggi Tanzania) al quale si attribuisce un’antichità di 245 milioni di anni. Nella sua tesi, Charig diede naturalmente un nome a ciascuno di questi fossili, che all’epoca erano ancora sconosciuti. È in quelle pagine che compare per la prima volta Teleocrater rhadinus. Che cosa c’è allora di nuovo, nell’articolo pubblicato in questi giorni su «Nature», dove il nome di Charig occupa l’ultimo posto (un posto di prestigio, secondo le convenzioni editoriali degli scienziati) in una lista di autori che si apre con Sterling Nesbitt, studioso di vertebrati fossili del Politecnico della Virginia?
Le novità principali sono due: una riguarda la storia evolutiva dei dinosauri (e non solo), l’altra apre invece una piccola finestra sul modo in cui gli studiosi costruiscono l’inventario ufficiale delle specie animali e vegetali, viventi ed estinte.
Cominciamo dai dinosauri. Anzi, da quel vasto ed eterogeneo ramo di rettili che comprende, oltre ai dinosauri e altre forme estinte, anche i coccodrilli e gli uccelli. Da molto tempo, in effetti, si è cominciato a sospettare che questi non siano altro se non dei rettili specializzati nel volo: non gli unici, visto che l’avventura dell’aria l’avevano tentata anche gli pterosauri, fra il tardo Triassico e la fine del Cretaceo (da 200 a 65 milioni di anni fa), ma di certo quelli di maggior successo. Stimolato dalla scoperta di Archaeopteryx, uccello primitivo vissuto 150 milioni di anni fa che conservava i denti e la coda propri dei suoi antenati, ma era rivestito di penne e mostrava di essere stato capace per lo meno di volo planato, Thomas Henry Huxley, il famoso «mastino di Darwin», arrivò addirittura a formulare l’ipotesi che gli uccelli fossero strettamente imparentati con i dinosauri. Era il 1868 e i dinosauri avevano ricevuto questo nome solo 26 anni prima. Un secolo più tardi, le strette affi- nità rettiliane degli uccelli sarebbero state definitivamente riconosciute quasi da tutti, ma restavano da precisare nel dettaglio i loro rapporti di parentela con i diversi gruppi di rettili — quelli attuali e, soprattutto, quelli estinti.
È stato piuttosto facile raggiungere un consenso sul primo punto, riconoscendo che, fra gli animali oggi viventi, i parenti più prossimi degli uccelli sono i coccodrilli, e viceversa. Con questo, gli uccelli «diventano» tecnicamente dei rettili: se la cosa ci dispiace, l’unica alternativa possibile è quella di far sparire il nome dei rettili dalla classificazione zoologica, ma non è chiaro che cosa ci si guadagne- rebbe. Passiamo quindi alla questione successiva: fra i rettili estinti, ci sono gruppi imparentati con gli uccelli più strettamente di quanto non siano vicini tra loro coccodrilli e uccelli?
Il succedersi sempre più impressionante di nuove scoperte paleontologiche e, soprattutto, uno studio comparativo sempre più raffinato di tutti questi fossili hanno ridato vigore all’intuizione di Huxley. Allo stato attuale delle conoscenze, non sembrano esserci dubbi sul fatto che gli uccelli sono veri e propri dinosauri; in particolare, sembra che gli uccelli si siano evoluti all’interno di quel ramo di dinosauri carnivori al quale appartengono i famosi tirannosauri e velociraptor. I dinosauri, quindi, non si sono estinti alla fine del Cretaceo.
Scavando nella storia evolutiva degli uccelli, però, abbiamo perduto di vista le vicende iniziali, databili al Triassico, che hanno visto la storia dei dinosauri prendere una strada divergente rispetto a quella dei futuri coccodrilli. Ed è qui che entra in gioco Teleocrater, nell’accurata rivisitazione che ne presentano oggi Nesbitt e colleghi.
A Teleocrater mancano alcune caratteristiche che giustificherebbero l’inclusione nei dinosauri. Assieme a poche altre specie di simile antichità, esso rappresenta un gruppo particolare di rettili che non era stato riconosciuto fino a oggi e al quale Nesbitt e colleghi hanno dato il nome di Afanosauri, come dire: lucertole nascoste o, forse, trascurate. Rettili trascurati, Teleocrater e i suoi parenti stretti, a dispetto dei loro due metri di lunghezza, ma importanti, perché la loro anatomia dimostra che le più evidenti caratteristiche dei dinosauri (i cui rappresentanti più antichi sono di 15 milioni d’anni più recenti rispetto ad essi) cominciarono a comparire presto, dopo la separazione dalla linea evolutiva dei coccodrilli.
Alcune di queste cose si potevano leggere già nella tesi di dottorato di Charig. I reperti da lui studiati si conservano ancora oggi nelle collezioni del Museo di storia naturale di Londra, dove Charig lavorò per molti anni, ed è lì che Nesbitt e colleghi li hanno ritrovati e oggi li descrivono, aggiungendo qualche frammento osseo da loro trovato nelle stesse rocce fossilifere della Tanzania. Teleocrater, tuttavia, è un nome che entra solo adesso nell’anagrafe ufficiale della scienza. Una tesi di laurea, tecnicamente, non è una pubblicazione, secondo le regole del Codice internazionale per la nomenclatura zoologica. Era ora di riportare alla luce un importante reperto, già illustrato più di mezzo secolo fa, ma poi, di fatto, nuovamente sepolto negli archivi e lasciato di fatto senza nome.