Corriere della Sera - La Lettura
La doppia vita di Donatoni
Eventi a 90 anni dalla nascita
Metà dei suoi anni li ha passati nella morsa della depressione, attanagliato dalla solitudine, perso nel labirinto del pensiero negativo. L’altra metà invece sotto il segno della rinascita, di una creatività ludica, un desiderio di espansione verso gli altri. Nato il 9 giugno 1927, Franco Donatoni è il compositore che visse due volte. Segnando con la forza della sua fragilità l’evoluzione del linguaggio musicale del secondo Novecento. L’anniversario imminente, i 90 anni della nascita, è occasione di riflessione su una personalità complessa e singolare, asceta della musica, maestro generoso di futuri compositori, da Dusapin a Saariaho a Pekka Salonen. E tra gli italiani, Sandro Gorli, Ruggero Laganà, Luca Mosca, Alessandro Solbiati. A Milano, il 21 maggio, serata dedicata alla sua musica con Sentieri Selvaggi.
«Sono stato tra i suoi primi allievi al Conservatorio di Milano a inizio anni Settanta», il periodo del suo male oscuro, ricorda Gorli, anima di Divertimento Ensemble: «Deciso a distruggere l’odioso “io”, Donatoni si riconosceva nel misticismo di Giovanni della Croce, nel rituale del sacrificio che per lui era il comporre. Una crisi personale e del linguaggio musicale che lo spingeva a mettersi in gioco senza pudori. Quello che insegnava non erano formule. Insegnava se stesso, che poi è il solo modo d’insegnare a essere se stessi». «Si domandava se fosse possibile insegnare a comporre. Donatoni — interviene Luca Francesconi, altra voce autorevole della musica di oggi — apriva la sua bottega all’urgenza creativa degli allievi, cosa che raramente altri facevano, con passione, rigore, fede travolgente. Stava poi al discepolo trovare le sue ali».
Ossessionato dall’idea di annullare l’ego importuno, Donatoni mette in pratica tecniche basate sul caso, su sistemi automatici di elaborazione. In To Earle Two le note delle due prime pagine della partitura le scrive tirando i dadi. «E le successive — spiega Gorli — sono il frutto della rilettura delle prime due secondo meccanismi che si obbligava a seguire con ubbidienza certosina. Donatoni credeva nei numeri, nelle coincidenze. Come i Pitagorici, come Bach e Beethoven, organizzava le sue composizioni su complesse combinazioni numeriche». Poi gli stati maniaco-depressivi passarono. «Le aveva provate tutte, i ricoveri, il litio, la psicanalisi... — elenca Gorli — ma la vera medicina fu la musica. Si autoguarì riprendendo a scrivere. Spiri per 10 strumenti gli ha aperto la porta a territori di inattesa libertà e euforia creativa. Non più astratta, la sua musica non rivela nulla dell’uomo e dei suoi problemi. Come per Mozart, è solo pura gioia». Un grandissimo cambiamento che lo porta a comporre a velocità sorprendente. Pezzi da camera, per orchestra, opere liriche. Come Atem, alla Scala, regia di Giorgio Pressburger.
«Donatoni era rinato. La lunga afasia degli anni bui — riprende Francesconi — si chiude con l’esplosione del grande pezzo orchestrale Duo Pour Bruno. Da allora liberò una musica felice. La sua influenza sui giovani musicisti divenne enorme. La sua lezione non va perduta, i suoi pezzi devono essere eseguiti il più possibile, ma anche discussi e analizzati perché lì si trovano i nodi fondamentali della trasmissione di un sapere che oggi viene drammaticamente a mancare».