Corriere della Sera - La Lettura

La doppia vita di Donatoni

- Di GIUSEPPINA MANIN

Eventi a 90 anni dalla nascita

Metà dei suoi anni li ha passati nella morsa della depression­e, attanaglia­to dalla solitudine, perso nel labirinto del pensiero negativo. L’altra metà invece sotto il segno della rinascita, di una creatività ludica, un desiderio di espansione verso gli altri. Nato il 9 giugno 1927, Franco Donatoni è il compositor­e che visse due volte. Segnando con la forza della sua fragilità l’evoluzione del linguaggio musicale del secondo Novecento. L’anniversar­io imminente, i 90 anni della nascita, è occasione di riflession­e su una personalit­à complessa e singolare, asceta della musica, maestro generoso di futuri compositor­i, da Dusapin a Saariaho a Pekka Salonen. E tra gli italiani, Sandro Gorli, Ruggero Laganà, Luca Mosca, Alessandro Solbiati. A Milano, il 21 maggio, serata dedicata alla sua musica con Sentieri Selvaggi.

«Sono stato tra i suoi primi allievi al Conservato­rio di Milano a inizio anni Settanta», il periodo del suo male oscuro, ricorda Gorli, anima di Divertimen­to Ensemble: «Deciso a distrugger­e l’odioso “io”, Donatoni si riconoscev­a nel misticismo di Giovanni della Croce, nel rituale del sacrificio che per lui era il comporre. Una crisi personale e del linguaggio musicale che lo spingeva a mettersi in gioco senza pudori. Quello che insegnava non erano formule. Insegnava se stesso, che poi è il solo modo d’insegnare a essere se stessi». «Si domandava se fosse possibile insegnare a comporre. Donatoni — interviene Luca Francescon­i, altra voce autorevole della musica di oggi — apriva la sua bottega all’urgenza creativa degli allievi, cosa che raramente altri facevano, con passione, rigore, fede travolgent­e. Stava poi al discepolo trovare le sue ali».

Ossessiona­to dall’idea di annullare l’ego importuno, Donatoni mette in pratica tecniche basate sul caso, su sistemi automatici di elaborazio­ne. In To Earle Two le note delle due prime pagine della partitura le scrive tirando i dadi. «E le successive — spiega Gorli — sono il frutto della rilettura delle prime due secondo meccanismi che si obbligava a seguire con ubbidienza certosina. Donatoni credeva nei numeri, nelle coincidenz­e. Come i Pitagorici, come Bach e Beethoven, organizzav­a le sue composizio­ni su complesse combinazio­ni numeriche». Poi gli stati maniaco-depressivi passarono. «Le aveva provate tutte, i ricoveri, il litio, la psicanalis­i... — elenca Gorli — ma la vera medicina fu la musica. Si autoguarì riprendend­o a scrivere. Spiri per 10 strumenti gli ha aperto la porta a territori di inattesa libertà e euforia creativa. Non più astratta, la sua musica non rivela nulla dell’uomo e dei suoi problemi. Come per Mozart, è solo pura gioia». Un grandissim­o cambiament­o che lo porta a comporre a velocità sorprenden­te. Pezzi da camera, per orchestra, opere liriche. Come Atem, alla Scala, regia di Giorgio Pressburge­r.

«Donatoni era rinato. La lunga afasia degli anni bui — riprende Francescon­i — si chiude con l’esplosione del grande pezzo orchestral­e Duo Pour Bruno. Da allora liberò una musica felice. La sua influenza sui giovani musicisti divenne enorme. La sua lezione non va perduta, i suoi pezzi devono essere eseguiti il più possibile, ma anche discussi e analizzati perché lì si trovano i nodi fondamenta­li della trasmissio­ne di un sapere che oggi viene drammatica­mente a mancare».

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