Corriere della Sera - La Lettura

La colonna sonora di «Furore»

- Di ANNACHIARA SACCHI

Francesco Bianconi dei Baustelle accompagna il reading di Baricco

Il pubblico in piedi. Riunito all’ultimo momento — queste sono le regole della serata — in un luogo misterioso, forse un capannone industrial­e torinese. Alessandro Baricco che recita alcuni brani di Furore, che li spiega, li commenta. E un’altra voce, quella della musica, che accompagna i testi e li esalta, amplifican­do l’epopea della famiglia Joad, la sua drammatica traversata dall’Oklahoma alla California. «Anche se forse non ce ne sarebbe bisogno», sorride con riserbo Francesco Bianconi, il leader dei Baustelle che al reading di sabato 20 maggio (appuntamen­to alle 20.30, dove ancora non si sa, ma la locandina parla chiaro: seguire l’evento su Facebook) sarà la «spalla sonora» di Baricco. E di John Steinbeck.

Parole e musica. Le note che viaggiano in sintonia con il recitato. Non saranno scelte scontate, anticipa il musicista. «In un primo momento ho pensato di seguire la lettura recitata di Alessandro Baricco con pezzi della tradizione folk e blues dell’America. Di aggiungere classici a un testo classico. Poi ho deciso di complicarm­i un po’ la vita , l’idea di stare seduto davanti a un computer non mi piaceva, un clic non basta per Steinbeck». Un lavoro più duro per un omaggio «più corposo». Per questo motivo Bianconi ha coinvolto nel progetto l’ingegnere del suono Ivan Rossi. «Sul palco ci sarà il giradischi e una loop station: dovremo stare attenti a piazzare la puntina nel solco giusto». Porzioni di brani campionati saranno mandate in loop, in ripetizion­e. «Così diventa tutto più live, più bello». Niente di tradiziona­le o scontato, promette l’artista. Anzi: «Ci siamo resi conto che alcune musiche, nate per altri contesti, per altre situazioni, possono diventare davvero America».

Una serata d’autore. Per amanti della letteratur­a e della musica. Quella che la pagina Facebook intitolata «Furore. Il reading» definisce «una cosa da fare in molti, tutti. Un po’ come un rave. E non a caso accadrà in un posto pazzesco, uno dei più simbolici di Torino. Il posto lo saprete giusto in tempo per organizzar­vi. Per conoscerlo prima: cercate i segnali in giro per la città». Ci saranno i 33 giri, le manopole, le puntine di una volta. In un ambiente caldo e scenografi­co. «Non è questione di estetica», chiarisce Bianconi. Il punto sta nel «rispettare un capolavoro della letteratur­a, nel sostenerlo anche quando ha tutta la forza per stare in piedi da solo, nel cercare di sottolinea­re sfumature che magari a una prima lettura non si colgono». E poi c’è la passione del cantautore per il romanzo di Steinbeck: «Ho accettato subito la proposta di Baricco (l’evento è organizzat­o dalla Scuola Holden, ndr) perché trovo che Furore sia un romanzo attuale più che mai». E pedagogico: «Parla di emigranti, di poveretti, di drammi personali». Della tragica ricerca di un futuro migliore, di umanità in bilico tra speranza e disperazio­ne. «E il fatto che siano migranti americani — continua Francesco Bianconi — è ancora più interessan­te: è utile a tutti ricordare che il Paese padrone del mondo è diventato tale anche attraverso queste popolazion­i in movimento».

Non ci saranno brani «leggeri» nel reading firmato Baricco-Bianconi. L’antitesi non vale per un romanzo come Furore, continua il cantautore. La parte musicale sarà «drammatica e tensiva, con momenti più rilassati, ma mai frivo- li. Non vogliamo in nessun modo contrastar­e il testo».

Omaggio a Steinbeck. Non è il primo. Il romanzo pubblicato nel 1939 ha ispirato tutte le arti, ma soprattutt­o la musica. Il personaggi­o di Tom Joad è protagonis­ta di una canzone di Woody Guthrie in Dust Bowl Ballads del 1940, mentre Bruce Springstee­n ha scritto l’album The Ghost of Tom Joad nel 1995. Bianconi si mette su questa scia: «Anche se Springstee­n non è uno dei miei artisti preferiti, l’ho sempre trovato un po’ enfatico nel raccontare il suo Paese, considero The Ghost of Tom Joad uno dei suoi album più eleganti, intimisti». Bianconi torna indietro nel tempo, si rivede «pischello» di Montepulci­ano, abbagliato da Kerouac, tanto che, dice, «il mio primo gruppo si chiamava The Subterrane­ans, i Sotterrane­i, come il suo romanzo. Da allora ho cominciato ad amare gli autori americani, e in parallelo ad ascoltare Bob Dylan, che sapeva inserire nei suoi testi decine di elementi della tradizione, della cultura e della società americana facendoli entrare in una sorta di collisione psichedeli­ca». Una folgorazio­ne. Come i romanzi della Beat Generation e poi di Steinbeck, Faulkner, Dos Passos. Classici della letteratur­a e della musica, libri e dischi che si accompagna­no, dialogano, a volte si rincorrono. «Anche se le canzoni sono una forma più diabolica e sintetica rispetto ai testi e quindi tendi a riascoltar­le». I libri, invece «richiedo-

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