Corriere della Sera - La Lettura

L’arma letale di Aristofane

- Di MAURO BONAZZI

Che cosa succede quando un comico comincia a fare politica? Che vuol dire «popolo» in democrazia? Sono le domande intorno a cui ruota il nuovo libro di Luciano Canfora Cleofonte deve morire (Laterza). Protagonis­ta indiscusso è Aristofane, il più noto commediogr­afo di Atene, uno dei più grandi di tutti i tempi. L’ideatore di storie strampalat­e (città costruite in cielo, viaggi nell’oltretomba) con personaggi esilaranti (ossessiona­ti dal sesso o dai tribunali, inseguiti dai creditori, che si depilano petto e gambe: una bella descrizion­e degli italiani, tra l’altro). Le battute si susseguono con ritmo vorticoso, su piani linguistic­i diversi, ora volgari ora raffinati, più spesso entrambi insieme. Senza riguardo per niente e nessuno, perché l’unico obiettivo è la risata, e la vittoria nella competizio­ne teatrale.

Tutte cose note, per chi si è divertito con le sue commedie. Meno note sono invece le implicazio­ni politiche che si nascondono nei suoi versi, soprattutt­o dove meno ce lo si aspetta. Di questo si occupa Canfora, e improvvisa­mente si squaderna davanti agli occhi del lettore la vita di una città in permanente fibrillazi­one, lacerata da scontri sempre più violenti, incapace di resistere alle passioni che la travolgono. Ad Atene tutto è politico.

In alcuni casi la polemica è tanto viru- lenta quanto esplicita — nei Cavalieri il Paflagone che i cavalieri devono sconfigger­e allude smaccatame­nte all’odiato Cleone, il leader democratic­o erede di Pericle. Ma è nelle commedie cosiddette d’evasione che il discorso si fa più interessan­te. Nella Lisistrata ad esempio, in cui la trama boccaccesc­a — uno sciopero del sesso fino a che i maschi non firmeranno la pace con Sparta — serve anche a descrivere il colpo di Stato oligarchic­o

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