Corriere della Sera - La Lettura
L’arma letale di Aristofane
Che cosa succede quando un comico comincia a fare politica? Che vuol dire «popolo» in democrazia? Sono le domande intorno a cui ruota il nuovo libro di Luciano Canfora Cleofonte deve morire (Laterza). Protagonista indiscusso è Aristofane, il più noto commediografo di Atene, uno dei più grandi di tutti i tempi. L’ideatore di storie strampalate (città costruite in cielo, viaggi nell’oltretomba) con personaggi esilaranti (ossessionati dal sesso o dai tribunali, inseguiti dai creditori, che si depilano petto e gambe: una bella descrizione degli italiani, tra l’altro). Le battute si susseguono con ritmo vorticoso, su piani linguistici diversi, ora volgari ora raffinati, più spesso entrambi insieme. Senza riguardo per niente e nessuno, perché l’unico obiettivo è la risata, e la vittoria nella competizione teatrale.
Tutte cose note, per chi si è divertito con le sue commedie. Meno note sono invece le implicazioni politiche che si nascondono nei suoi versi, soprattutto dove meno ce lo si aspetta. Di questo si occupa Canfora, e improvvisamente si squaderna davanti agli occhi del lettore la vita di una città in permanente fibrillazione, lacerata da scontri sempre più violenti, incapace di resistere alle passioni che la travolgono. Ad Atene tutto è politico.
In alcuni casi la polemica è tanto viru- lenta quanto esplicita — nei Cavalieri il Paflagone che i cavalieri devono sconfiggere allude smaccatamente all’odiato Cleone, il leader democratico erede di Pericle. Ma è nelle commedie cosiddette d’evasione che il discorso si fa più interessante. Nella Lisistrata ad esempio, in cui la trama boccaccesca — uno sciopero del sesso fino a che i maschi non firmeranno la pace con Sparta — serve anche a descrivere il colpo di Stato oligarchico