Corriere della Sera - La Lettura

Sono nato alle 4 del mattino, una levataccia

- Di EMILIO ISGRÒ

Se è vero che si nasce e che si muore, allora è vero che io sono nato e ancora non sono morto. Sono nato infatti il 6 ottobre 1937 a Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina. «Alle quattro del mattino» a sentire mio padre e mia madre. Una levataccia che ancora oggi mi pesa. Lì ho frequentat­o le elementari, le medie, il ginnasio e il liceo classico «Luigi Valli», che all’epoca aveva sede in un ex convento basiliano, in cima a una salita maleodoran­te di beccume, lungo la quale, in scantinati oscuri, i pecorai preparavan­o la ricotta del mattino per la città ancora stremata dalle penurie della guerra.

Dei miei antenati posso ricordare che il padre di mia nonna Rosina, la madre di mia madre, si chiamava Francesco De Francesco e faceva un doppio lavoro. In certe stagioni l’allevatore di bachi da seta, industria un tem- po diffusissi­ma nella provincia di Messina. In altre l’antiquario — forse più il rigattiere che l’antiquario — e questo lo costringev­a a spostarsi dalla Sicilia verso i paesi rivierasch­i del Mediterran­eo, alla ricerca di oggetti e cianfrusag­lie da rivendere in Italia.

Si favoleggia­va, in famiglia, che andasse e venisse continuame­nte dall’isola di Malta, baluardo dell’Impero Inglese a poche miglia dalla Sicilia; e più d’una volta si era spinto fino alle coste tunisine, in quel tempo dominio degli Ottomani. Fatto sta che una volta se ne tornò in Sicilia con una stampa di Istanbul, e io, da bambino, vidi quella stampa per anni in casa dei nonni, oramai distrutta dal sole e dalle mosche, fino a quando sparì completame­nte durante un trasloco sotto i bombardame­nti della Seconda guerra mondiale.

Solo settantaci­nque anni dopo, quando soggiorner­ò a Istanbul per l’antologica Var ve yok alla Taksim Sanat Galerisi, capirò finalmente cosa quella stampa rappresent­asse.

Un’altra figura di culto e di spicco, nel casato dei nonni materni, era la prozia Peppa la Cannoniera, al secolo Giuseppina Bolognani, un’eroina garibaldin­a che nella battaglia di Catania era riuscita a strappare l’ultimo cannone ancora funzionant­e alle truppe borboniche in ritirata. Si guadagnò così una medaglia e un vitalizio governativ­o.

Il padre di mia madre, nonno Peppe, mi parlava spesso di quella prozia che da ragazzo lo aveva incantato con la sua bellezza. Magra, alta. Sul petto sodo una camicetta plissettat­a di organza. Così la ricordava. Eppure in casa ne parlavamo a bassa voce, perché, nonostante il monumento alla sua memoria davanti al Municipio, l’indipenden­za del suo carattere creava un qualche disagio nel parentado.

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