Corriere della Sera - La Lettura

Un’attenzione speciale all’inizio e alla fine dell’esistenza

- Di GIUSEPPE REMUZZI

«Nasce l’uomo a fatica,/ ed è rischio di morte il nascimento. ( ... )/ e in sul principio stesso/ la madre e il genitore/ il prende a consolar dell’esser nato» e ancora «Perché reggere in vita/ chi poi di quella consolar convenga?/ Se la vita è sventura,/ perché da noi si dura?» si chiede il pastore errante in una delle poesie più belle. Cosa rispondere a lui e a Giacomo Leopardi? Con Stress, tensione, stato mentale della madre — e naturalmen­te fumo e alcol — riguardano anche la nostra vita da adulti. Persino lo sviluppo del cervello — e quindi intelligen­za, temperamen­to ed emozioni — dipende dall’esperienza dell’utero che coinvolge anche molte delle funzioni dei nostri organi, fegato, pancreas e soprattutt­o rene. Bambini che nascono sottopeso hanno reni più piccoli e meno glomeruli — le unità funzionali del rene — e da grandi avranno pressione alta, malattie del cuore e diabete.

Ma dedicare un’attenzione speciale ai primi mesi — dentro e fuori dall’utero — non basta, ci vuole un grande riguardo anche per gli ultimi momenti di vita dell’uomo, quelli a cui nessuno di noi di solito pensa mai. Ci si vorrebbe arrivare con un po’ di autonomia, con i minori disagi possibili, con qualcuno che ti spieghi cosa succederà e perché. Non è così quasi mai e allora i giorni o i mesi che precedono la morte saranno un calvario che spesso vanifica tutto quello di buono che c’è stato prima. Le cure intensive degli ultimi giorni, le macchine che respirano per te, il foro nello stomaco per alimentart­i e tanto d’altro, ti privano di tutto (inclusi relazioni e affetti che hai passato una vita a costruire) senza che nessuno ti chieda nemmeno se lo vuoi davvero.

Dall’oggi al domani non decidi più niente, nemmeno delle tue cose più intime, sei vulnerabil­e come non lo sei mai stato prima. Alla fine muori lo stesso, ma muori disperato.

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