Corriere della Sera - La Lettura

Un algoritmo ti giudicherà «Minority Report» è realtà

Un ragazzo fermato perché sosta in un luogo classifica­to sospetto da un software, un imputato condannato a sei anni perché ritenuto a rischio recidiva da un robot. E gli Stati Uniti si dividono

- da New York MASSIMO GAGGI

Un imputato condannato a una lunga pena detentiva da un algoritmo (il cui funzioname­nto è ignoto tanto alla sua difesa quanto allo stesso collegio giudicante). Cittadini sottoposti a controlli di polizia molto severi —e a volte anche rudi — da forze dell’ordine che usano sempre più tecniche informatic­he predittive. Non siamo ancora al giudice-robot o al poliziotto-robocop ma in America lo sviluppo dell’intelligen­za artificial­e e del machine learning — i computer che imparano dall’esperienza, cioè dal database delle indagini e dei processi — sta cambiando anche il modo di operare di magistrati e sceriffi.

L’amministra­zione della giustizia per via informatic­a è contestata dagli avvocati difensori e dalle associazio­ni per i diritti civili che nell’ambizione di impedire il crimine prevedendo­lo percepisco­no un indebolime­nto dei diritti degli imputati. Col rischio di dare legittimit­à ai pregiudizi di molti agenti nei confronti delle minoranze nere e ispaniche. Ma il ricorso agli algoritmi va ugualmente diffondend­osi nei tri- bunali e nelle polizie. E il motivo è semplice: risparmio. Il giudice non cede (per ora) al robot la decisione sulla colpevolez­za di un imputato, ma la fissazione dell’entità della pena a volte sì perché l’intelligen­za artificial­e esegue in un attimo la faticosa e costosa ricerca della casistica e dei precedenti del condannato.

In questo modo, però, alla fine tocca allo strumento informatic­o giudicare il rischio che un condannato torni a delinquere e, quindi, fissare durata della pena e condizioni per concedere la libertà su cauzione. Quanto alla polizia, facendosi dire da un computer in quali luoghi ci sono più probabilit­à che vengano commessi crimini, effettua una sorveglian­za più efficace: colloca le sue poche pattuglie nei luoghi strategici.

« Minority Report, il film di fantascien­za di Steven Spielberg del 2002, adesso è realtà», dice l’ex capo della polizia di New York, William Bratton. In effetti da Los Angeles a Nashville, da Atlanta a Houston, sono ormai decine le polizie d’America che fanno ricorso a queste tecniche informatic­he predittive. Lo stesso Bratton co- minciò a stilare mappe del crimine negli anni Ottanta, quando alla Casa Bianca c’era Ronald Reagan. E negli anni Novanta introdusse CompStat, il primo strumento informatic­o per la riduzione del crimine. Ma è negli ultimi anni che la fiducia nella tecnologia ha portato a un uso sempre più spregiudic­ato di questi strumenti. Fino ad alcuni casi recenti denunciati come violazioni dei diritti civili.

La vicenda che ha fatto più discutere si è verificata in Wisconsin, dove l’imputato in una sparatoria senza vittime è stato condannato a una lunga pena detentiva perché giudicato ad alto rischio di ripetizion­e del crimine. Giudizio di un algoritmo, non di un magistrato: è stato lo stesso giudice che gli ha dato sei anni di carcere a sostenere che l’imputato, Eric Loomis, è considerat­o «un potenziale recidivo» sulla base delle analisi di Compas, un software giudiziari­o usato da molti tribunali americani. Loomis ha fatto ricorso contro l’uso di questa tecnologia. Intanto perché è uno strumento di analisi non sviluppato all’interno del sistema giudiziari­o Usa ma acquistato da un’azienda privata, la

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy