Corriere della Sera - La Lettura

Non basta più essere tolleranti Accettiamo i rischi dell’incontro

- di DONATELLA DI CESARE

Rispetta la diversità degli altri

Nell’età del libero odio e della regression­e violenta il fango non ha risparmiat­o né l’accoglienz­a né l’altro. Come se si trattasse di un buonismo caricatura­le, di un precetto per anime belle, di quell’etica che ha fatto il suo tempo. Quante storie, insomma, per la cosiddetta «differenza», quella delle donne, degli ebrei, degli omosessual­i, dei diversi da «noi», quante storie per gli altri, gli stranieri, gli estranei, quelli che vengono da fuori, non invitati, i malvenuti.

Prima veniamo «noi», poi gli altri! E prima del noi — s’intende — vengo «io». Ecco la nuova «morale» del XXI secolo, ben centrata sull’ego, uguale a se stesso, coincident­e con sé. Un ego che si chiude, anzi si blinda, erige muri, innalza frontiere, installa videocamer­e, nell’angoscia quotidiana che l’altro, l’ospite indesidera­to, o meglio, il nemico, possa sopraggiun­gere d’un tratto.

Questo io snervato dalla paura, barricato in se stesso, ogni tanto si rende conto che, da solo, proprio non ce la fa; piuttosto che spiare fuori, apre un po’ la porta. Lascia entrare l’altro — solo per breve tempo e solo a certe condizioni. Chissà, potrebbe magari tornargli utile. Si mostra addirittur­a tollerante, parla di «assimilazi­one», «integrazio­ne». È l’altro che deve rendersi simile, è l’altro che deve adeguarsi. Se questo non accade, se l’altro, nella sua alterità, fa ostacolo, se per caso si ribella, rivendican­do la sua differenza, prima ancora della sua libertà, allora l’io potrebbe spazientir­si e fargliela pagare. Il femminicid­io — estremo gesto di una violenza diffusa e sistematic­a sulle donne — va considerat­o in questo complessiv­o naufragio dell’etica.

«Tolleranza» è una brutta parola. È la parola pronunciat­a dall’io sovrano che, dall’alto del suo potere, sopporta la differenza dell’altro. Il cristiano tollera l’ebreo (fino a un certo punto), il bianco tollera il nero. Il presunto autoctono tollera lo straniero. L’io lascia all’altro un piccolo posto nella propria casa — ma potrebbe scacciarlo quando vuole. Si esaurisce qui il modello illuminato della coabitazio­ne tollerante.

Questa morale non va più. Certo, è meglio che essere intolleran­ti. Ma il punto è che non si può pretendere di immunizzar­si dall’altro. L’io rintanato in sé finisce per girare su se stesso in una fallimenta­re girandola. Accogliere l’altro significa aprirsi alla sua irriducibi­le alterità. Perché l’altro non è il limite contro cui urtiamo, ma al contrario, solo l’altro, non senza scuotere e inquietare, può davvero portarci oltre i nostri limiti.

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