Corriere della Sera - La Lettura
Cinquanta sfumature di sorriso ma solo uno è quello felice
È «sentito» quando si attiva il muscolo orbicolare dell’occhio. Gli studi
Nel 1924 Carney Landis, studente di psicologia dell’Università del Minnesota, prese un tappo di sughero bruciato con cui evidenziò i lineamenti delle persone che aveva radunato in un laboratorio. L’esperimento durò circa tre ore, durante le quali le «cavie» svolsero una serie di attività disparate: ascoltarono musica jazz, lessero la Bibbia, guardarono materiale pornografico, decapitarono dei topi. Nel frattempo, Landis continuava a scattare fotografie dei loro volti. Terminato lo studio, il giovane si rese conto di un particolare sorprendente: la reazione più frequente alle varie sollecitazioni era un sorriso.
Le ricerche sull’argomento proliferano: l’ultima, realizzata dal Brain and Mind Institute dell’Università dell’Ontario in Canada, sostiene che i volti sorridenti siano percepiti come più anziani rispetto a quelli sorpresi o neutrali, mentre uno studio pubblicato recentemente su «Nature» si è concentrato sullo stato d’animo espresso dalla Gioconda, decretando che si trattasse di felicità. La realtà è che il sorriso resta il più grande enigma al mondo. «È un’espressione presente in un numero di foto tale da poterla considerare tipica di qualsiasi situazione», sentenziò Landis. A confermare questa tesi fu, sessant’anni dopo, Paul Ekman, professore di psicologia presso l’Università della California. Grazie al sistema di codifica delle espressioni facciali introdotto da Ekman stesso e da Wallace Friesen nel 1978, lo studioso arrivò a individuare oltre 50 tipologie di sorriso. «Il sorriso è probabilmente l’espressione facciale più sottostimata — afferma il professore nel libro I volti della menzogna. Gli indizi dell’inganno nei rapporti interpersonali (Giunti) —. Esistono dozzine di sorrisi, ciascuno con aspetto e messaggio diversi».
Ci sono, tra gli altri, il sorriso di paura e quello di tristezza, il sorriso imbarazzato e quello malizioso, il sorriso di disprezzo e quello derivante dal piacere per la sfortuna altrui, il sorriso autoironico (o «di Chaplin») e quello di acquiescenza. Tutti comportano l’attivazione del muscolo zigomatico maggiore, che spinge gli angoli delle labbra verso l’alto. «Si tratta di un muscolo molto facile da contrarre volontariamente», spiega a «la Lettura» Valentina Gentileschi, trainer certificata di Paul Ekman International. «Dal momento che alterare la parte inferiore del volto è piuttosto semplice, sorridere è il modo più comune per celare un’emozione». La sola tipologia di sorriso che — a differenza dei sorrisi cosiddetti «di mascheramento» o «sociali», controllati dalla corteccia cerebrale — prevede anche il coinvolgimento del muscolo orbicolare dell’occhio è il sorriso «sentito», ossia quello spontaneo. Il sorriso in questione — chiamato «sorriso di Duchenne» in onore dello studioso francese che per primo, nel 1862, lo descrisse — è l’unico che esprime genuina felicità ed è connesso al sistema limbico (la parte del cervello che gestisce le emozioni).
«Simulare il sorriso di Duchenne è quasi impossibile», prosegue Gentileschi. «Ciò perché è molto difficile attivare di proposito l’orbicolare dell’occhio». Come Charles Darwin scrisse già nel 1872 nel saggio L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli altri animali, il sorriso di felicità è un’espressione «universale», insita nel nostro Dna. Paul Ekman, inizialmente scettico nei confronti di tale teoria, ebbe la prova della sua validità alla fine degli anni Sessanta, in seguito allo studio del comportamento non verbale di una tribù della Papua Nuova Guinea. «Ogni cultura ha le proprie “regole di esibizione” per esprimere le emozioni: gli asiatici, per esempio, sono soliti smorzare il sorriso, nel tentativo di controllarlo», dice Gentileschi. «Ma per quanto la sua intensità possa cambiare, il sorriso “sentito” ha le stesse caratteristiche in tutto il mondo».
Per quanto riguarda gli effetti sulla psiche umana, che il sorriso sia «sentito» o meno fa però poca differenza. «Secondo la teoria della Facial Feedback Hypothesis, allenarsi a contrarre i muscoli coinvolti nel sorriso permette di sentirsi meglio», commenta Roberto Micarelli, direttore del Center for Body Language Italia. «Sorridere, anche falsamente, può aiutare la mente a generare emozioni positive». Non a caso, diversi studi hanno rilevato che la frequenza con cui si sorride influisce su svariati aspetti della nostra vita, tra cui la soddisfazione coniugale, la longevità, i livelli di stress e i parametri cardiovascolari.