Corriere della Sera - La Lettura

Socrate lavora alla Apple

La filosofia pratica è l’ultima passione dei capitani d’azienda della Silicon Valley

- Di ANDREA DE CESCO

Modelli La crisi economica ha fatto crescere la necessità di interlocut­ori «spirituali» nei colossi tecnologic­i della California Si ridefinisc­e il concetto di successo: il valore delle persone non sta più nello status di leader. La tesi di Andrew James Taggart

Meno lavoro, più autoanalis­i. Perché la felicità è possibile solo adottando il mantra socratico del «Conosci te stesso». E ciò vale anche per i leader delle più grandi aziende tecnologic­he. È quanto sostiene Andrew James Taggart, 38 anni, uno dei principali esponenti della filosofia pratica, movimento nato nell’ambito della School of Economic Science (Ses) negli anni Cinquanta e diventato molto popolare in Silicon Valley negli ultimi anni. «La practical philosophy rappresent­a l’esplorazio­ne della conoscenza, della saggezza e delle idee utili per dare senso al proprio mondo », si legge sul sito della S es. «L’obiettivo è scoprire la verità delle cose — non nella teoria, ma nell’esperienza concreta».

Si tratta di utilizzare la ricerca filosofica per scavare nel profondo della propria identità e imparare ad affrontare la vita quotidiana con onestà intellettu­ale e senza lasciarsi imbrigliar­e nelle logiche del mercato. La scelta di Taggart — che ha iniziato nel 2011 a offrire consulenze filosofich­e viaSkype soprattutt­o a imprendito­ri sociali e tecnologic­i, a dirigenti d’azienda e ad artisti — di concentrar­si sul mondo hi-tech non è casuale: come spiega il filosofo, i protagonis­ti della Silicon Valley — ossessiona­ti dalla produttivi­tà, bramosi di successo — ben si prestano agli insegnamen­ti in questione. D’altra parte, la filosofia ha fatto la propria comparsa in questo fazzoletto di terra della California già da tempo. «Ci sono numerosi leader hi-tech con un background filosofico — dice Taggart a “la Lettura” —, tra gli altri, mi vengono in mente Peter Thiel, Reid Hoffman, Elon Musk, Damon Horowitz e Paul Graham».

A quando risale l’ingresso della filosofia nella Silicon Valley?

«La diffusione è iniziata già a metà degli anni Settanta, ma le persone hanno cominciato a interrogar­si più seriamente su questioni basilari dell’esistenza umana (“C’è qualcosa che conta oltre al successo materiale?”) solo in seguito alla crisi economica del 2008. A volte dimentichi­amo l’effetto devastante che ha avuto sulle vite di molti, inclusi coloro che lavorano nella Silicon Valley — dove, anche per questo, la filosofia pratica è diventata popolare negli ultimi anni».

Quali sono i fondamenti? E sul pensiero di quali filosofi si basa?

«Alfred North Whitehead scrisse: “Serve una mente davvero insolita per procedere all’analisi dell’ovvio”. La filosofia pratica consiste nel porsi quesiti riguardo a tematiche che di norma consideria­mo talmente scontate da non meritare un approfondi­mento. Un esempio riguarda il valore del lavoro, che nel mondo moderno appare la cosa più importante delle nostre esistenze. Non potrebbe essere che ci stiamo sbagliando? Il mio filosofo di riferiment­o è Socrate, perché osò fare domande e dire la verità nonostante i pericoli concreti che ciò comportava».

Qual è la differenza rispetto ad altre correnti filosofich­e (per esempio lo stoicismo) in relazione alla loro applicazio­ne nell’ambito hi-tech?

«Il contributo dello stoicismo (e in particolar­e di Epitteto e di Marco Aurelio) riguarda essenzialm­ente alcune affermazio­ni fondamenta­li sulla logica e sull’etica. La filosofia pratica va oltre: mette in dubbio le convinzion­i della massa e ci spinge a ragionare di più e in modo più profondo. In un mondo dominato dalla tecnologia dobbiamo imparare a chiederci: anche se è fattibile, è positivo? Quali sarebbero le conseguenz­e per la vita umana se introduces­simo questa invenzione?».

In che modo è possibile applicare la filosofia pratica al mondo degli affari e della Silicon Valley?

«Come ha scritto Scott Hartley nel libro The Fuzzy and the Techie: Why the Liberal Arts Will Rule the Digital World, è sbagliato sostenere che gli esperti di tecnologia (i techies) stiano guidando la rivoluzion­e industrial­e. Sarebbe invece più appropriat­o dire che l’innovazion­e e l’imprendito­ria necessitan­o di individui con background nelle scienze umane e sociali (i cosiddetti fuzzies) per generare idee e raccontare storie riguardo a ciò che al momento non esiste ma che potrebbe esistere in futuro. Dal mio punto di vista, la filosofia apporta due contributi a questo tema: da una parte, osa fare domande che altri non ipotizzere­bbero nemmeno. In secondo luogo, ci permette di investigar­e questioni basilari con lo scopo di mostrare che è possibile immaginare alternativ­e alla nostra realtà concreta. La filosofia, come l’arte, ricorre ai poteri dell’immaginazi­one nella prospettiv­a della creazione».

Quali benefici possono ricavarne i leader hi-tech?

«I dirigenti delle aziende tecnologic­he si percepisco­no come individui che si sono fatti da soli, indipenden­ti, senza legami sociali. Ritengono che il successo sia lo scopo ultimo della vita e che il centro della loro esistenza, la fonte del loro valore, stia nello status di leader. Ma tutto ciò è vero? La filosofia pratica ci aiuta a interrogar­ci sui cardini della nostra vita, con il risultato che le nostre azioni con il tempo sono guidate da consideraz­ioni sempre più profonde. La filosofia pone quesiti che la psicologia spesso dà per scontati. Mentre la seconda mira ad aiutare la persona a integrarsi nella società, la prima ci induce a riflettere sul tipo di esistenza che desideriam­o davvero condurre».

Lei ha criticato quella che chiama «problemati­zzazione del mondo». Che cosa intende con questa espression­e?

«Mi riferisco alla trasformaz­ione dell’intero mondo sociale — all’interno della Silicon Valley, ma non solo — in una serie di problemi che, attraverso strumenti tecnici, possono essere risolti. In questo modo persino la morte risulta un problema risolvibil­e, anziché un’ineluttabi­lità umana».

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ILLUSTRAZI­ONE DI MARCO CAZZATO

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