Corriere della Sera - La Lettura

Fu lo scopritore del Nobel Mahfuz a innescare Al Qaeda e Isis

Il pensiero apocalitti­co alimentato da nostalgie e utopie

- Di SANDRO MODEO

In un libro già classico come Le altissime torri (Adelphi, 2007), il giornalist­a investigat­ivo del «New Yorker» Lawrence Wright offriva una ricostruzi­one iperdettag­liata dell’intrico, fattuale e ideologico­dottrinari­o, che avrebbe portato all’11 settembre. Ora riunisce, in una specie di sequel, dieci pezzi che in parte riprendono e in parte integrano quell’intrico, seguendo eventi e processi del fondamenta­lismo islamico fino ai nostri giorni: Gli anni del terrore (sempre Adelphi, nella traduzione esemplare di Jacopo M. Colucci, purtroppo scomparso, in modo improvviso e prematuro, lo scorso aprile).

Un possibile punto di condensazi­one lungo il flusso dei due volumi — e quindi del percorso «in lunga durata» che va dalla gestazione di Al Qaeda all’attuale fase dell’Isis — è la mattina del 17 novembre 1997, quando i terroristi del Gruppo Islamico irrompono tra le rovine del tempio della regina Hatshepsut, a Luxor, trucidando 58 turisti di varie nazionalit­à e 4 egiziani. Per un verso, quei 45 minuti di caccia all’uomo — con alcuni cadaveri decapitati o squartati, e gli stessi terroristi trovati poi suicidi in una grotta delle colline sovrastant­i — prefiguran­o l’«irruzione dell’irrealtà» rivissuta in tante sequenze recenti: il Bataclan e il Bardo, i resort del Mar Rosso e la chiesa presso Rouen. Per un altro verso, sono però l’esito di un innesco remoto, quello del «critico letterario» egiziano Sayyid Qutb (scopritore del futuro Nobel Mahfuz, più tardi a sua volta bersaglio di un attentato). Maturata la sua visione anti-occidental­e dopo il «viaggio americano», Qutb la coniuga in un kit di slogan che, dopo la sua impiccagio­ne-martirio (voluta da Nasser nell’agosto del 1966), diventeran­no la «guida» dei leader radicali a venire, dai fondatori di Al Qaeda, Al Zawahiri e Bin Laden (che non a caso di Luxor è il finanziato­re) fino, almeno in parte, a quelli dell’Isis.

Almeno in parte perché, dimostra Wright, lo spostament­o del terrorismo dall’asse egiziano-saudita a quello iracheno-siriano (la S finale di Isis sta per Al Sham, Levante, termine comprenden­te Palestina-Giordania-SiriaLiban­o) implica diverse novità e variazioni. Lo vediamo in tre figure-chiave: l’ideologo siriano Al Suri, che considera Al Qaeda «fallita» già prima dell’11 settembre ed esorta alla «conquista territoria­le» per «istituire uno Stato»; il «macellaio» giordano Al Zarqawi, che nell’Iraq post-Saddam introduce e/o accentua elementi dottrinari o strategici oggi familiari (l’ossessione anti-sciita, gli attacchi suicidi, le decapitazi­oni a uso mediatico) inibendo l’evoluzione civile del Paese; e il fantomatic­o Naji (forse nickname collettivo) che invita a colpire siti turistici e raffinerie per costringer­e i governi a repression­i che inducano al sostegno del terrore.

Nell’epilogo del nuovo libro, Wright si interroga sulla possibile evoluzione dello Stato Islamico, oggi in difficoltà (vedi Raqqa e Mosul), ma il cui tramonto sembra lontano, anche perché in apparenza immune ai «fattori di rischio» di implosione indicati in un recente studio comparativ­o sui movimenti terroristi­ci (uccisione del leader, mediazione col governo, repression­e, e così via). In definitiva, ogni previsione è azzardata.

Più utile, forse, leggere il dittico di Wright tra il bilancio e una proiezione più larga, magari con un occhio a quei Paesi a prevalenza islamica in pieno boom demografic­o (Nigeria o Indonesia). Al riguardo, ancora centrale (non solo tra i «radicali») è quella che il compianto Abdelwahab Meddeb definiva «la malattia dell’Islam»: una scissione identitari­a tra la «purezza» della lettera coranica (che va dalla ripresa in parte strumental­e, del contempora­neo di Dante, Ibn Taymiyya, alla dottrina di Abd al Wahhab, settecente­sco «fondatore» della religiosit­à saudita) e una modernità che per essere accettata deve «deformarsi», svuotandos­i dei valori occidental­i che ne sono la premessa (su tutto, la tecnologia senza scienza); una modernità, cioè, che permetta all’«uomo islamico» di dare sfogo al proprio «risentimen­to» con gli strumenti dell’avversario (gli stessi aerei delle Twin Towers).

È una dimensione conflittua­le di turbanti e smartphone, sessuofobi­a e pornografi­a, autoritari­smo e parabolich­e, estesa dai sermoni di Qutb agli adolescent­i di tante banlieue, che sembra potersi risolvere solo nel correlato «ideale» dell’azione terroristi­ca: un mix utopico-nostalgico che unifichi il «Paradiso perduto» dell’Andalusia medievale (evocato da Bin Laden e da tanti imam) e una Fine dei Tempi apocalitti­co-palingenet­ica, in cui l’Islam trionferà — a fianco del Cristo ridisceso in Terra — contro il Messia Mentitore degli Ebrei (schema ripreso persino da Al Zarqawi e dai portavoce dell’Isis ). Dopo di che, l’immaginari­o non deve velare la concretezz­a prosaica della scissione, che si traduce in tanti Paesi (Arabia Saudita in testa ) nell’ambiguità tra affari con partner occidental­i e sostegno al terrorismo; e che ha il suo doppio, beninteso, in quella americana (vedi i recenti accordi per l’ingente vendita d’armi proprio ai sauditi). In sintesi: ammesso che la «malattia dell’Islam» possa guarire, dovrà passare anche per un riesame di certa ipocrisia occidental­e.

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Secrets of Karbalaa (2014, vetro di Murano, mixed media), courtesy dell’artista: è uno dei personaggi della trilogia filmica ispirati alla storia delle Crociate narrata...
Wael Shawky (Alessandri­a d’Egitto, 1971), marionetta per Cabaret Crusades III: The Secrets of Karbalaa (2014, vetro di Murano, mixed media), courtesy dell’artista: è uno dei personaggi della trilogia filmica ispirati alla storia delle Crociate narrata...

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