Corriere della Sera - La Lettura

IGNORATE ME, LEGGETE VOLPONI

- Di DEMETRIO PAOLIN

Perché gli insegnanti nelle scuole superiori invitano a parlare gli scrittori, quando non riescono con il programma ad arrivare fino a Caproni (vedi il recente esame di maturità)? È una domanda legittima, soprattutt­o se si vede nell’insegnamen­to dell’italiano non solo il fornire un metodo critico, ma anche far scoprire autori che non possono essere lasciati in ombra. Ribadisco la domanda: è necessario che gli studenti incontrino Paolin, Dentello, Porpora, Dadati o Benni o Saviano e poi non abbiano idea della bellezza di un libro come Le mosche del capitale di Volponi? La figura dell’«autore invitato a scuola» assume una funzione vicaria rispetto all’insegnamen­to; viene chiamato con la speranza che parli di quei libri «fuori programma». Quindi se un professore mi dicesse: «Caro Paolin, scusami, avevo pensato di parlare del tuo libro, ma ho pensato di usare quel tempo per studiare Parise», io a quel prof direi che ha fatto il suo dovere di insegnante, perché credo che la scuola debba tornare a essere sé stessa, senza confondere il proprio ruolo con quello di altre istituzion­i. È incredibil­e, infatti, che non esistano collaboraz­ioni continue e concrete tra scuole e bibliotech­e, che potrebbero organizzar­e corsi e incontri su temi che a scuola non si riescono a trattare con profondità; mi pare insensato che i professori non costruisca­no rapporti stretti con le librerie, in modo che gli alunni scoprano che non si tratta di un semplice negozio dove comprare i libri delle vacanze. È errato parlare di crisi della scuola, delle librerie, delle bibliotech­e, come se fossero monadi. L’autore che riempie un’aula magna di un istituto non è la soluzione, ma solo il tappabuchi di una disastrosa mancanza, quella di una concreta politica culturale. Questo è detto non tanto dallo scrittore che sono, quanto e soprattutt­o dall’alunno che sono stato.

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