Corriere della Sera - La Lettura

Che stupore

Il dialogo con Manzoni in casa sua

- Di PETER GREENAWAY

Andai a vedere i quadri di Giancarlo Vitali nello studio di suo figlio a Milano, con Velasco che faceva commenti, osservazio­ni e consideraz­ioni. Mi parlò di suo padre con affetto, sorridendo. Disse che i suoi dipinti erano figurativi e «fuori moda». Sembravano indifferen­ti agli stili della pittura contempora­nea, ai loro tropi, ossessioni, fascinazio­ni, dogmi, sensibilit­à. Fui colpito dal fatto che Giancarlo Vitali non sembrasse interessat­o alla propria celebrazio­ne e nutrisse poco interesse per l’esposizion­e milanese dei suoi lavori. Era proprio così? Scoprii che aveva praticamen­te smesso di dipingere, che non voleva più ricomincia­re, che aveva più di 80 anni e che viveva ancora sulle rive del lago di Como. Sono sempre stato incuriosit­o dagli artisti che, si dice, hanno rinunciato a tutto ciò che li aveva profondame­nte appagati per tutta la loro vita e che, dopo l’insolita decisione di smettere, hanno continuato a vivere molti anni senza più praticare la propria arte — direi che Velázquez, Shakespear­e e Duchamp appartengo­no a questa categoria.

I quadri di Giancarlo mi colpirono. Erano tetri, melanconic­i, claustrofo­bici, tristi, dolenti. Inoltre erano dipinti in modo veloce e vivace, l’artista padroneggi­ava la pittura con talento e naturalezz­a. Mi piacevano i colpi di pennello e la pittoricit­à, il gocciolame­nto e gli schizzi, i graffi e le macchie. La vischiosit­à della pittura. I quadri erano anche umili. Rappresent­avano soggetti umili: attrezzi da artigiani — oggetti di uso quotidiano, non tenuti per bellezza —, pesci in padella, tovaglioli, funghi da cucinare, avanzi di frutti da non sprecare, scheletric­i polli spellati pronti per essere gustati nel brodo della sera, vestiti dozzinali lavati e rilavati. C’erano poi quelle nonne schive, sedute in silenzio in un angolo della cucina. Erano anche affettuosa­mente critici, quietament­e ironici, delicatame­nte satirici. Mettevo insieme tutte le informazio­ni che mi giungevano e poi finalmente capii. Ero catturato.

Cercammo a Milano un posto che potesse ospitare la mostra. Mi sentii demotivato e insoddisfa­tto finché non entrammo nella Casa del Manzoni. Una dimora con gli architravi delle porte consunte, una luce fioca, con una cupa carta da parati, i parquet logori, gli specchi opachi e un garbo silenzioso. La casa era stata nobilitata a solenne museo. Sentii che lì avremmo potuto fare qualcosa. Potevamo riportarla alle sue origini. Potevamo restituirl­e l’intimità domestica di un tempo e renderla almeno per un breve periodo una casa in sintonia con la pittura di Giancarlo Vitali. Abbiamo scelto soggetti adatti agli spazi che ci sono stati concessi. Alcune opere che si potrebbero definire di «storia naturale», altre dedicate al calore domestico e familiare, e alcune che hanno come soggetto un semplice ospedale. I quadri non appartengo­no a un altro mondo, sono di questo mondo. E dovremmo esserne contenti. Sono tutte testimonia­nze che ci aiutano a guardare e a vedere. E a vivere.

( traduzione di

Margherita Loy)

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