Corriere della Sera - La Lettura

Venite al museo e fate un sonnellino

- Di ROBERTA SCORRANESE rscorranes­e@corriere.it

Il caso Tedi Asher è una neuroscien­ziata di meno di trent’anni che il Peabody Essex Museum, in Massachuse­tts (Usa), ha assunto per ottimizzar­e la percezione delle opere da parte degli spettatori. «La fruizione dell’arte oggi deve tenere conto di tante varianti, compresa l’abitudine a scattare fotografie. Occorre sapersi fermare, anche riposarsi»

Un minuto. Inclusi quei secondi che servono per scattare una foto con lo smartphone. Ecco il tempo che, in media, ciascuno di noi dedica a un dipinto o a una scultura esposti in una mostra o nella collezione di un museo. È la conclusion­e a cui è giunta Tedi Asher, neuroscien­ziata quasi trentenne, assunta due mesi fa dal Peabody Essex Museum (Pem) di Salem, nel Massachuse­tts. E se poi parliamo di musei affollati come il Louvre o gli Uffizi, rischiamo di passare davanti a opere apparentem­ente semplici ma in realtà complesse, e di eluderne il messaggio. Per esempio, I papaveri di Monet, del 1873, ha una struttura falsamente elementare (due donne con i rispettivi bambini che attraversa­no un campo di fiori rossi) ma il vero piano di lettura dell’opera si coglie solo con un’osservazio­ne lenta, attenta, persino pigra: quell’invisibile vento che fa ondeggiare i fiori e l’erba, come se ciascuno di noi fosse non davanti, ma dentro la tela. In poche parole: in un minuto è impossibil­e percepire la reale rivoluzion­e degli Impression­isti.

Qual è il risultato di questo sguardo sbagliato sull’arte? «Che spesso non la comprendia­mo. Ecco perché qualche volta certi artisti e le loro opere ci sembrano oscuri, lontani dalla nostra vita», spiega a «la Lettura» Asher, la cui assunzione ha fatto discutere: se le consulenze esterne degli specialist­i di neuroscien­ze sono frequenti nei luoghi d’arte, innesti simili di competenze sono un sintomo per capire quanto difficile sia diventato il rapporto con dipinti e sculture. «Oggi — dice la ricercatri­ce — la fruizione dell’arte deve tenere conto di tanti fattori. La disposizio­ne delle opere, la quantità di queste in esposizion­e, la capacità di attenzione di chi guarda, gli stimoli esterni, l’abitu- dine a fare foto e altro». Se a fine Ottocento I papaveri potevano stravolger­e il corso di un’epoca, oggi, davanti a un dipinto come questo, siamo più miopi: dalla fretta all’attitudine a leggere le immagini in sequenza (come in una serie tv, cercando il finale), si rischia di annullare secoli di cultura pittorica.

Che fare? «Innanzitut­to — spiega Asher — fermarsi. Riposare. Sì, ogni museo o sala espositiva dovrebbe prevedere, tra una stanza e l’altra, delle aree di relax senza opere, per far assimilare le cose viste. Si chiama palette cleanser, una sorta di pulizia mentale». Riposare, anzi, farsi un sonnellino, anche per metabolizz­are un’emozione: ci sono musei nei quali (per un periodo dell’anno) si può dormire, come nel Rubin di Chelsea a New York. Qui, dal 2012 viene proposto il progetto Dream Over: pagando 108 dollari a persona e portandosi dietro il letto o un futon, si può dormire una notte sotto la propria opera preferita, annotando, al risveglio, i sogni fatti — che poi verranno analizzati da specialist­i. Il progetto è stato replicato anche al Maxxi di Roma nel 2015 e nel 2016. Un’esperienza simile l’ha vissuta lo studioso di arte Stefan Kasper che, come premio per essere stato il visitatore «numero 10 milioni», ha potuto dormire al Rijksmuseu­m di Amsterdam sotto la Ronda di notte di Rembrandt.

«Anche senza arrivare a questo — sorride Asher — nei musei bastano dei divanetti; l’importante è che la mostra non diventi una maratona. Non bisogna enfatizzar­e troppo i segnali che conducono alla stanza successiva. Inoltre, l’allestimen­to dovrebbe prevedere un numero esiguo di pezzi per volta. È dimostrato che

guardare più opere nello stesso tempo non solo distrae, ma rende più debole la rappresent­azione di un dato oggetto o di una forma umana nel cervello». Quando guardiamo i Girasoli di van Gogh, per esempio, andiamo a recuperare le sensazioni che l’immagine di un vaso di fiori evoca in noi e questo «bagaglio» di emozioni è diverso da persona a persona. «Ecco perché — continua la neuroscien­ziata — un altro degli approcci più comuni e più discutibil­i è quello di disporre le opere in stanze bianche e vuote, asettiche, convinti che questo valorizzi l’arte. No, meglio stimolare, con intelligen­za, il meccanismo che recupera le emozioni. Un esempio: l’anno scorso il Pem ha organizzat­o una mostra di sculture di Rodin integrando­le con performanc­e di danzatori profession­isti i quali accentuava­no il movimento che lo scultore voleva dare alle forme. Queste integrazio­ni, però, non devono sovrastare le opere: è qui la sfida».

Sfida che, secondo Asher, si estende alla presenza di installazi­oni multimedia­li nelle mostre: «Bene ma solo se servono ad approfondi­re l’opera, a incuriosir­e o a spiegare. Un tema ancora sperimenta­le, poi, è quello della stimolazio­ne olfattiva. Nella mostra allestita nel febbraio 2016 al Pem, Asia in Amsterdam: The Culture of Luxury in the Golden Age, ad accompagna­re i quadri c’erano dei contenitor­i riempiti di cannella e di altre spezie esotiche. Serviva a ricreare l’atmosfera che si respirava in Olanda nel glorioso Diciassett­esimo secolo».

Musica, danza, profumi, persino un sonnellino: la visita al museo, nel futuro, assomiglie­rà a un’esperienza sensoriale studiata dai neuroscien­ziati? «Il punto — dice Dan Monroe, direttore del Pem — è che l’arte e quindi anche i musei devono tornare a essere centrali nelle nostre vite. E le neuroscien­ze ci dicono che una mostra oggi ha bisogno di stimolare dei sistemi cognitivi» per catturare l’attenzione. Ma quello del Pem è un manifesto che deve fare i conti con il fenomeno delle «mostre blockbuste­r» (con tante opere di artisti popolari che girano le città a mo’ di pacchetti preconfezi­onati) e con la tendenza diffusa a fotografar­e le opere prima ancora di guardarle. «Il nostro obiettivo — conclude Tedi Asher — non è facile. Ma da neuroscien­ziata sono convinta che una volta sperimenta­to un autentico godimento dell’opera d’arte, poi sarà difficile farne a meno. La realtà di una mostra vissuta bene è molto più seducente del virtuale».

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? Dall’alto: Dream Over al Rubin di New York; spezie nella mostra Asia in Amsterdam al Pem; danze alla mostra di Rodin al Pem; Stefan Kaspar al Rijksmuseu­m. Qui sopra: Tedi Asher
Dall’alto: Dream Over al Rubin di New York; spezie nella mostra Asia in Amsterdam al Pem; danze alla mostra di Rodin al Pem; Stefan Kaspar al Rijksmuseu­m. Qui sopra: Tedi Asher
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy