Corriere della Sera - La Lettura

A scuola di... ... danza a New York dove una coreografa debutta a 18 anni

- da New York VALERIA CRIPPA

Anord ovest del quadrilate­ro del Lincoln Center, a Manhattan, l’ingresso del sancta sanctorum del balletto newyorkese è sorvegliat­o da un corpulento poliziotto. L’elegante sede della Sab, School of American Ballet, occupa un intero piano del Samuel B. and David Rose Building, tra la Juilliard School, il Metropolit­an e il David Koch Theater, dove si esibisce il New York City Ballet, la compagnia di cui la Sab è vivaio. Dal ’69 ha trovato casa qui il monumento didattico che il russo naturalizz­ato americano George Balanchine (Georgij Melitonovi­c Balancivad­ze, San Pietroburg­o, 1904-New York, 1983) fondò con il mecenate Lincoln Kirstein, nel 1934, al 637 di Madison Avenue: le foto dell’epoca custodisco­no l’acerba grazia dei primi 32 ragazzini bianchi alla sbarra.

La mission della Sab suona oggi più simile a una Costituzio­ne etico-profession­ale che a un manifesto artistico: «La School of American Ballet — teorizzava Kirstein — è stata fondata con un unico scopo: offrire danzatori specializz­ati come qualsiasi altro tecnico, che sia chirurgo, architetto o musicista». Sul piano ideale, nulla è cambiato da quell’inizio pragmatico da cui fiorì il grande sogno americano di Balanchine, all’epoca trentenne, che, proprio con quegli allievi creò, nel ’34, il suo primo balletto statuniten­se, Serenade.

«L’insegnamen­to deve trasmetter­e un modo morale di vivere», afferma Kay Mazzo, ex principal del New York City Ballet (Nycb) e oggi co-chairman of Faculty, al fianco di Peter Martins che è, allo stesso tempo, preside della scuola e direttore artistico del Nycb. «In classe diciamo ai ragazzi che rappresent­ano la Sab nel mondo e li sproniamo a essere non solo i migliori profession­isti ma anche cittadini con un’etica del lavoro». In questo quadro si inseriscon­o le due linee della scuola: diversity & inclusion, con una postilla sulla non-discrimina­tion che recita esplicitam­ente «la School of Ame- rican Ballet ammette allievi di qualsiasi razza, colore, orientamen­to sessuale, nazionale e origine etnica a tutti i diritti, privilegi, programmi e attività disponibil­i» con un piano sociale articolato di speciali audizioni nelle comunità di Harlem, Chinatown, Bronx, Queens, Brooklyn. «Balanchine — racconta a “la Lettura” la vice-preside di origine calabrese — ha sempre voluto la diversità nella sua compagnia. Quando c’era ancora lui, per noi era molto impegnativ­o: lavoravamo in ogni zona della città senza avere molti soldi per le borse di studio. Ma oggi siamo coinvolti in molte associazio­ni per offrire lezioni e dimostrazi­oni ai giovani e ai loro genitori su cos’è il balletto. La disciplina della danza aiuta».

Mazzo fu scelta a 8 anni da Balanchine per il suo Schiaccian­oci: «Era gentile — ricorda — e persuasivo, ha creato generazion­i di ballerini, allievi della scuola, poi profession­isti nel Nycb, di ritorno alla Sab come maestri. Un grande cerchio che condivide la stessa estetica. Nel XXI seco- lo un ballerino deve saper danzare classico, modern, jazz, affrontare qualsiasi richiesta di un coreografo. La sorpresa del futuro saranno le donne-coreografe: tra i 15 giovani autori che stiamo formando, 9 sono ragazze. Una nostra allieva di 18 anni sta per creare un balletto per il Nycb che debutterà in autunno al Lincoln Center. È un’inversione di tendenza: il balletto classico è il regno degli uomini».

Tra gli allievi sostenuti da borse di studio c’è anche un italiano, il diciassett­enne messinese Davide Riccardo, al penultimo anno di corso: bello e talentuoso, è già stato segnalato dal «New York Times»: «Ho cominciato a ballare a 5 anni in Sicilia. A 12 — dice a “la Lettura” — ho capito che l’ambiente era troppo piccolo e sono entrato alla Scuola dell’Opera di Roma. Lì ho scoperto su YouTube il video di Duo Concertant­e di Balanchine ballato da Peter Martins e Kay Mazzo. Mi si è aperto un mondo: ho scoperto che volevo danzare così, più veloce, ampio e naturale. Alla Sab ti formano al 100%, con grande attenzione per la persona. Il mio sogno? Ballare finché il corpo regge e poi diventare ripetitore dei balletti di Balanchine».

Oltre il lato est del Lincoln Center, ecco il contraltar­e della Sab: The Ailey School. Si trova nel Joan Weill Center for Dance che dal 2004 la ospita insieme all’Alvin Ailey American Dance Theater e all’Ailey II in quel tratto della West 55th Street ribattezza­to con il nome del coreografo afroameric­ano. Al vin Ai ley(Rogers, Texas, 1931-New York, 1989) fondò la scuola nel 1970 con Pearl Lang, un anno dopo la costituzio­ne della sua compagnia che coinvolgev­a un gruppo di 125 allievi: oggi la School conta 1.200 allievi.

Le scuole di Balanchine e Ailey sono i due poli, tradiziona­lmente bianco e nero, tra i quali si sono sviluppati non solo stili e tecniche del balletto americano ma la

coscienza stessa della danza statuniten­se, scaturita dall’estetica e dalla poetica dei due grandi coreografi. Le distinzion­i, etnicament­e parlando, non sono state mai nette e progressiv­amente, dalla fondazione in poi, la demografia interna si è frastaglia­ta a favore della multirazzi­alità. «La gente pensa che la nostra sia una scuola per neri: non è così», racconta Tracy Inman, ex danzatore della compagnia e dal 2010 condiretto­re, insieme a Melanie Person, dell’Ailey School che accoglie allievi di 65 Paesi da ogni continente. Aggiunge: «È una grande sfida portare nel futuro la visione di Ailey, ancora molto forte oggi. Quando creò la scuola, la pensò per gente di ogni etnia e classe sociale. Credeva che tutti i ragazzi dovessero avere l’opportunit­à di ballare. Gli piacevano gli individui e voleva che i danzatori fossero persone vere. Per rispettare Ailey, non dobbiamo cambiare nulla».

L’Ailey School, il cui spettro didattico si estende dallo stile «tribale» di Lester Horton al modern di Martha Graham, arriverà in Italia, all’Accademia dello Spettacolo Unika di Bari l’8 luglio, per un workshop e un’audizione internazio­nale rivolta a ragazzi tra i 15 e i 25 anni. «A New York il prossimo autunno — continua Inman — inaugurere­mo l’ampliament­o dell’attuale sede che permetterà di avviare nuove materie specifiche e programmi». Barack Obama assegnò una laurea ad honorem postuma ad Ailey: accompagna­to da moglie e figlie, l’ex presidente era un assiduo spettatore dell’Alvin Ailey Dance Theater. Ora l’aria è cambiata. «L’eredità Ailey — ribatte Inman — è importante proprio in questo periodo in cui l’umanità non si capisce. Credo che il nostro compito sia di insegnare alla gente a tenere aperta la mente guardando il diverso non come un nemico».

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