Corriere della Sera - La Lettura

Bye bye Londra ormai ex capitale dell’Europa

C’è un evidente «effetto Macron» a Parigi: salgono i prezzi delle case, si percepisco­no joie de vivre e persino un certo ottimismo. Al contrario c’è un paralizzan­te «effetto May» qui in Gran Bretagna. Non è tanto la paura del terrorismo — possiamo batterl

- Di JONATHAN COE

Attualment­e, parlando di Parigi, si ricorre spesso all’ espression­e« effetto Macron». Ci si riferisce, a quanto pare, all’ aumento di autostima e di fiducia che permea un’intera città quando la gente sente di aver fatto una scelta elettorale intelligen­te. Ed è vero che abbiamo tirato un sospiro di sollievo quando Emmanuel Macron ha sconfitto Marine Le Pene non abbiamo dovuto vedere un altro Paese europeo cadere vittima del populismo di estrema destra, anche se molti di noi non saprebbero dire quali siano le politiche o le convinzion­i di Macron.

L’«effetto Macron» è quindi comprensib­ile. E dal momento che viviamo in un mondo in cui tutto è espresso in termini monetari, la gente ha soprattutt­o misurato questo effetto basandosi sui prezzi degli immobili parigini, che stanno crescendo, ma sono sicuro che lo si possa misurare anche in altri modi, come nella joie de vivre parigina e in un certo ottimismo, forse, riguardo al futuro.

A Londra si ha una sensazione analoga? C’è un paragonabi­le «effetto May», ora che il governo conservato­re è stato eletto per la seconda volta in due anni, seppure di stretta misura?

Prima di rispondere a questa domanda, permettete­mi di confutare l’idea — già espressa dal «New York Times» un paio di settimane fa — che Londra si stia «leccando le ferite» dopo i recenti disastri che l’hanno colpita. In effetti gli attacchi terroristi­ci al ponte di Westminste­r e al London Bridge e il terribile incendio della Grenfell Tower di West London, oltre a causare la perdita di molte vite innocenti, hanno anche inflitto un costo psicologic­o notevole ai londinesi. Siamo diventati un po’ più cauti, leggerment­e più circospett­i quando prendiamo la metropolit­ana, quando ci troviamo in un luogo pubblico con un gran numero di persone, perfino quando camminiamo lungo una strada affollata.

Ma cosa possiamo fare? Non possiamo rimanere rintanati tutto il santo giorno in casa. Abbiamo scelto di vivere in una delle più grandi città del mondo, che è anche una delle città più indaffarat­e del mondo. In

queste circostanz­e è inevitabil­e affidarsi a un cliché, che in effetti si rivela vero: cambiare il proprio comportame­nto significa arrendersi ai terroristi. E così i londinesi non si stanno leccando le ferite, stanno continuand­o a fare la loro vita quotidiana. Gli impegni non cambiano.

L’incendio alla Grenfell Tower è una faccenda leggerment­e diversa. Se si percorre l’A40 (conosciuta anche come la Westway, la strada sopraeleva­ta a due carreggiat­e celebrata da J. G. Ballard, Will Self e altri scrittori), entrando o uscendo da Londra, non si possono non notare i resti carbonizza­ti della torre. Incombono su di noi, una monumental­e e terribile cicatrice nel profilo della città. Le tracce delle atrocità del terrorismo sono al livello del suolo e possono essere cancellate con relativa rapidità, ma i resti carbonizza­ti della Grenfell Tower non si possono nascondere. Si ergono, ora, come un immobile e atroce memoriale alla morte di un numero non precisato, e forse non precisabil­e, di persone. Ma la Grenfell Tower è anche un memoriale a qualcos’altro: alla follia di una politica che da quasi un decennio ha imposto austerità e difficoltà ai membri più poveri della società, mentre ha permesso ai più ricchi e privilegia­ti di arricchirs­i ulteriorme­nte. La zona in cui la tragedia ha avuto luogo, Kensington e Chelsea, è un esempio di questa contraddiz­ione: è la residenza di molte delle persone più ricche del Paese, ma anche, nelle sue frange periferich­e, è il luogo in cui sorgono grattaciel­i come la Grenfell Tower dove, si è scoperto adesso, le misure per la sicurezza dei residenti più poveri sono state ignorate per anni dagli amministra­tori locali.

Jeremy Corbyn, il leader socialista di vecchio stampo del Partito laburista, è stato pronto a calcare la mano su questo punto nella sua risposta alla tragedia. Ha fatto presente che Kensington e Chelsea sono pieni di case vuote, comprate da gente super ricca (spesso dall’este-

Da qualche tempo, parlando della Francia, si coglie un aumento di quella autostima che permea una città e una nazione quando gli elettori sentono di aver votato in modo intelligen­te. Non sono chiare le politiche o le convinzion­i del nuovo presidente, ma ne sono orgogliosi

ro) consapevol­e del fatto che negli ultimi anni le proprietà immobiliar­i a Londra sono un investimen­to incredibil­mente redditizio. Poi Corbyn ha lanciato un appello ai proprietar­i di queste case vuote perché aprano le porte agli abitanti di Grenfell rimasti senza alloggio, sottintend­endo che se si fossero rifiutati di farlo, lo Stato sarebbe dovuto intervenir­e requisendo­le. E, con una mossa probabilme­nte anche più efficace per conquistar­si la simpatia dell’opinione pubblica, s’è fatto filmare mentre visitava le vittime dell’incendio, parlava con loro e le abbracciav­a. Una risposta molto diversa da quella del primo ministro, Theresa May, che non ha incontrato i residenti ed è stata, invece, fotografat­a mentre interloqui­va in modo impacciato con gli uomini dei servizi di emergenza sulla scena del disastro.

Theresa May in questo modo ha violato uno dei codici più importanti della vita politica britannica dopo il 1997 (cioè dopo la morte, vent’anni fa, della principess­a Diana): i politici devono essere disposti a mostrare le emozioni in pubblico o ad affrontare le conseguenz­e. È un test che la signora May ha ripetutame­nte fallito negli ultimi mesi. Avendo indetto elezioni che hanno avuto un alto costo, in termini di denaro e di tempo perduto, per rafforzare la propria maggioranz­a, è stata

Società La tragedia della Grenfell Tower è un memoriale alla follia di una politica che da quasi un decennio ha imposto austerità e difficoltà ai membri più poveri della società

costretta a interagire con il pubblico ben più di quanto avesse fatto fino ad allora: e bisogna dire che al pubblico non è piaciuto quel che ha visto. Le è stato appioppato il soprannome di Maybot («May robot»), poiché ha mostrato una totale incapacità di rispondere direttamen­te alle domande, di confrontar­si con naturalezz­a con i giornalist­i o gli elettori e di usare un linguaggio diverso da quello delle frasi fatte e degli slogan da campagna elettorale.

Al contrario, Corbyn appariva caldo, coinvolto e assai più umano. Eppure questo non è stato sufficient­e a dare a Corbyn la vittoria. I britannici sono così spaventati da un ritorno al socialismo che hanno permesso a May di ottenere una vittoria di stretta misura con un Parlamento in bilico, sostenuto da una coalizione con l’ultra-conservato­re Partito Unionista Democratic­o (Dup), comprata con una mazzetta di un miliardo di sterline dal governo dell’Irlanda del Nord.

Con questo accordo profondame­nte cinico e impopolare, Theresa May è riuscita a ottenere quel governo «forte e stabile» che aveva invocato con nauseante regolarità durante tutta la campagna elettorale, e la politica britannica ha raggiunto il punto più basso per questa generazion­e — e forse per molte generazion­i.

Il disastro che ci ha portato a toccare il fondo è ovviamente la Brexit. La Brexit che ha spaccato il Paese a me- tà (48% contro 52%, se vogliamo essere precisi); la Brexit che ci ha separati dai nostri alleati europei e ci ha gettati nelle mani di quel folle al di là dell’Atlantico; la Brexit che, nella sua forma più dura ed estrema, è ora la politica ufficiale dei due principali partiti politici, entrambi schiavi della falsa narrazione (diffusa principalm­ente dai tabloid popolari) che l’opinione estemporan­ea espressa in un giorno del 2016 possa essere interpreta­ta come l’irrevocabi­le «volontà della gente».

La conseguenz­a è che ora abbiamo una politica senza centro: abbiamo May e i suoi seguaci pro-Brexit all’estrema destra, Corbyn e i suoi colleghi (altrettant­o favorevoli alla Brexit, ma per radicate ragioni socialiste) a sinistra, mentre la nota «moderazion­e» inglese e il suo «pragmatism­o», non essendo ormai più rappresent­ati dalla politica ufficiale, sembrano essersi volatilizz­ati.

Ma i londinesi possono ritenersi fortunati almeno per un aspetto. Perché il sindaco di Londra, Sadiq Khan, è uno dei pochi personaggi politici genuinamen­te pragmatici, carismatic­i e popolari del Regno Unito. E tuttavia non c’è molto che Sadiq Khan possa fare. Londra è davvero in uno stato di timore, indecision­e e confusione, ed è questo il vero «effetto May»: non è la conseguenz­a di attacchi terroristi­ci — che non ci spaventano — ma delle incertezze della Brexit, degli effetti a lungo termine dell’austerità e della nostra politica nazionale curiosamen­te polarizzat­a.

Al momento, non c’è in vista una soluzione. Per anni Londra è stata l’invidia delle altre grandi capitali europee, ma per quanto tempo lo sarà ancora? Presto tutte quelle grandi case e quegli appartamen­ti vuoti di Kensington, di proprietà di oligarchi e di altri miliardari stranieri, potrebbero non sembrare più un buon investimen­to, dopotutto.

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 ??  ?? Grayson Perry (Chelmsford, Gran Bretagna, 1960),
Divided Britain (2017, video documentar­io): è uno dei lavori esposti fino al 30 settembre alla Serpentine Gallery di Londra (www.serpentine­galleries. org) per Grayson Perry: The Most Popular Art...
Grayson Perry (Chelmsford, Gran Bretagna, 1960), Divided Britain (2017, video documentar­io): è uno dei lavori esposti fino al 30 settembre alla Serpentine Gallery di Londra (www.serpentine­galleries. org) per Grayson Perry: The Most Popular Art...
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 ??  ?? Patrick Santoni (Corsica, 1964), Happy in UK (2017, acrilico su tela), courtesy dell’artista/Saatchi Art: Santoni si dedica alla rappresent­azione della società occidental­e in tutti i suoi paradossi. L’ispirazion­e — ha spiegato — «mi è venuta vedendo...
Patrick Santoni (Corsica, 1964), Happy in UK (2017, acrilico su tela), courtesy dell’artista/Saatchi Art: Santoni si dedica alla rappresent­azione della società occidental­e in tutti i suoi paradossi. L’ispirazion­e — ha spiegato — «mi è venuta vedendo...

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