Corriere della Sera - La Lettura

La Francia tutela la vita e il lavoro Qui si sa innovare

- Dal nostro corrispond­ente a Parigi STEFANO MONTEFIORI

Roxanne Varza (Station F)

«Ho la s c i a to gl i St at i Uniti sette anni fa, il mio lavoro allora era aiutare le start-up della Silicon Valley a stabilirsi in Francia. Ce n’erano poche, perché dominava il cliché delle 35 ore, la Francia come Paese dove non è facile emergere e dove non succede mai nulla di nuovo. Mi è venuta voglia di vedere come stavano le cose davvero: ho scoperto che un ecosistema per le start-up esisteva eccome. Tutto era ancora da creare, mi è sembrata una situazione eccitante e ho deciso di restare». Roxanne Varza accoglie «la Lettura» accanto al cantiere ormai quasi finito di Station F, il più grande campus per start-up al mondo, struttura di 34 mila metri quadrati ricavata nella ex stazione ferroviari­a per le merci della Halle Freyssinet di Parigi.

Americana di origine iraniana che parla un francese perfetto, 32 anni, Roxanne Varza ha fatto il percorso inverso rispetto a molti: quando in Europa tanti sognavano la California (e in particolar­e la Silicon Valley) o Londra, lei ha scelto di vivere e lavorare in Francia e ora dirige Station F, il progetto nato su iniziativa di Xavier Niel (Free, «Le Monde», École 42) e adottato con entusiasmo dal presidente Emmanuel Macron, che qualche giorno fa è venuto qui a inaugurare la struttura accanto a Niel e Varza. Il presidente si rivolge apertament­e a ricercator­i e imprendito­ri britannici e americani preoccupat­i per la Brexit e Trump. Li invita a stabilirsi in Europa e «l’incubatore» Station F, capace di ospitare tremila persone, è l’avanguardi­a della nuova Francia.

Perché Parigi sta diventando di moda? E perché alcune realtà della new economy lasciano Usa o Gran Bretagna per stabilirsi qui?

«Rientro a San Francisco una volta l’anno e mi accorgo che si è creato un effetto perverso. Tutto troppo caro, nient’altro oltre la tecnologia, persone ossessiona­te dal lavoro. I miei amici rimasti là sono frustrati, la vita è complicata e dura. In Francia mi sembra ci sia ancora un buon equilibrio tra l’eccitazion­e di fare qualcosa di nuovo e uno stile di vita completo. Nel mondo an g l o s a s s o n e tu t to è tr o p p o orientato al denaro, è una questione culturale credo».

È una nuova versione dell’eterna eccezione francese? Quella pretesa di salvaguard­are il proprio stile di vita?

«Credo di sì e penso sia necessario. In America stanno nascendo dei movimenti di disintossi­cazione dalla tecnologia, perché lì si è andati troppo lontano. L’equilibrio tra lavoro e vita personale fa parte della cultura francese e credo che anche questo oggi torni a vantaggio di Parigi».

La Francia come alternativ­a alla Londra della Brexit, agli Usa di Trump?

«Per alcuni è così. Macron è stato audace a rivolgersi ai ricercator­i e imprendito­ri anglosasso­ni. Ci sono tantissime persone deluse dalla situazione politica negli Usa e in Gran Bretagna. Il problema non è solo la saturazion­e della Silicon Valley. Il messaggio di Macron è sorprenden­te, non è quel che ci si aspettereb­be di solito dalla Francia, ma credo che abbia fatto bene a cogliere il momento e a proporre la Francia come polo d’attrazione per il mondo».

Negli ultimi anni Parigi si stava facendo la fama di città museo e la Francia quella di Paese in crisi industrial­e, con lusso e turismo unici settori produttivi.

«È la novità fondamenta­le: Parigi si sta staccando dallo stereotipo della città custode del passato. Station F contribuis­ce a rilanciare una tradizione francese dell’alta tecnologia, della ricerca. Gli ingegneri francesi sono tra i migliori al mondo, è noto anche a San Francisco».

Station F si rivolge a tutta l’Europa?

«Sì, e al mondo intero. Tutta la nostra comunicazi­one è in francese e in inglese. Alcuni programmi, per esempio quello della start-up Numa, sono pensati in chiave internazio­nale. Abbiamo ricevuto candidatur­e da oltre 50 Paesi, la maggior parte da Stati Uniti, Regno Unito e Cina».

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