Corriere della Sera - La Lettura
La Francia tutela la vita e il lavoro Qui si sa innovare
Roxanne Varza (Station F)
«Ho la s c i a to gl i St at i Uniti sette anni fa, il mio lavoro allora era aiutare le start-up della Silicon Valley a stabilirsi in Francia. Ce n’erano poche, perché dominava il cliché delle 35 ore, la Francia come Paese dove non è facile emergere e dove non succede mai nulla di nuovo. Mi è venuta voglia di vedere come stavano le cose davvero: ho scoperto che un ecosistema per le start-up esisteva eccome. Tutto era ancora da creare, mi è sembrata una situazione eccitante e ho deciso di restare». Roxanne Varza accoglie «la Lettura» accanto al cantiere ormai quasi finito di Station F, il più grande campus per start-up al mondo, struttura di 34 mila metri quadrati ricavata nella ex stazione ferroviaria per le merci della Halle Freyssinet di Parigi.
Americana di origine iraniana che parla un francese perfetto, 32 anni, Roxanne Varza ha fatto il percorso inverso rispetto a molti: quando in Europa tanti sognavano la California (e in particolare la Silicon Valley) o Londra, lei ha scelto di vivere e lavorare in Francia e ora dirige Station F, il progetto nato su iniziativa di Xavier Niel (Free, «Le Monde», École 42) e adottato con entusiasmo dal presidente Emmanuel Macron, che qualche giorno fa è venuto qui a inaugurare la struttura accanto a Niel e Varza. Il presidente si rivolge apertamente a ricercatori e imprenditori britannici e americani preoccupati per la Brexit e Trump. Li invita a stabilirsi in Europa e «l’incubatore» Station F, capace di ospitare tremila persone, è l’avanguardia della nuova Francia.
Perché Parigi sta diventando di moda? E perché alcune realtà della new economy lasciano Usa o Gran Bretagna per stabilirsi qui?
«Rientro a San Francisco una volta l’anno e mi accorgo che si è creato un effetto perverso. Tutto troppo caro, nient’altro oltre la tecnologia, persone ossessionate dal lavoro. I miei amici rimasti là sono frustrati, la vita è complicata e dura. In Francia mi sembra ci sia ancora un buon equilibrio tra l’eccitazione di fare qualcosa di nuovo e uno stile di vita completo. Nel mondo an g l o s a s s o n e tu t to è tr o p p o orientato al denaro, è una questione culturale credo».
È una nuova versione dell’eterna eccezione francese? Quella pretesa di salvaguardare il proprio stile di vita?
«Credo di sì e penso sia necessario. In America stanno nascendo dei movimenti di disintossicazione dalla tecnologia, perché lì si è andati troppo lontano. L’equilibrio tra lavoro e vita personale fa parte della cultura francese e credo che anche questo oggi torni a vantaggio di Parigi».
La Francia come alternativa alla Londra della Brexit, agli Usa di Trump?
«Per alcuni è così. Macron è stato audace a rivolgersi ai ricercatori e imprenditori anglosassoni. Ci sono tantissime persone deluse dalla situazione politica negli Usa e in Gran Bretagna. Il problema non è solo la saturazione della Silicon Valley. Il messaggio di Macron è sorprendente, non è quel che ci si aspetterebbe di solito dalla Francia, ma credo che abbia fatto bene a cogliere il momento e a proporre la Francia come polo d’attrazione per il mondo».
Negli ultimi anni Parigi si stava facendo la fama di città museo e la Francia quella di Paese in crisi industriale, con lusso e turismo unici settori produttivi.
«È la novità fondamentale: Parigi si sta staccando dallo stereotipo della città custode del passato. Station F contribuisce a rilanciare una tradizione francese dell’alta tecnologia, della ricerca. Gli ingegneri francesi sono tra i migliori al mondo, è noto anche a San Francisco».
Station F si rivolge a tutta l’Europa?
«Sì, e al mondo intero. Tutta la nostra comunicazione è in francese e in inglese. Alcuni programmi, per esempio quello della start-up Numa, sono pensati in chiave internazionale. Abbiamo ricevuto candidature da oltre 50 Paesi, la maggior parte da Stati Uniti, Regno Unito e Cina».