Corriere della Sera - La Lettura

Dante

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necessaria, così inevitabil­e, che rischiamo sempre di dimenticar­ci che all’origine di tante cose che ci sembrano scontate c’è sempre l’intervento del genio creatore.

Ma in cosa consiste esattament­e la novità? Lo spiegò meglio di chiunque altro un grandissim­o critico tedesco, Erich Auerbach, in un saggio del 1929 diventato celebre, intitolato Dante, poeta del mondo terreno. Lettura avvincente e sorprenden­te: si può dire che Auerbach passi in rassegna tutte le idee dell’uomo che precedono Dante, e poi, arrivato alla Commedia, ci porti per mano di fronte all’incredibil­e scoperta: i personaggi di Dante sono uomini e donne reali, dotati di un’esistenza irripetibi­le, diversa da ogni altra. Non sono più, insomma, incarnazio­ni di idee, come «il cristiano», «il cittadino» o «il malvagio», ma persone come noi, come le possiamo ritrovare nei romanzi di Balzac o Don DeLillo. Per primo Dante, scrive Auerbach, ha praticato concretame­nte l’idea che «la sorte individual­e non possa essere trascurata». Per accedere al significat­o universale di una vita, dobbiamo passare per la cruna dell’ago dell’individual­ità, dobbiamo pensare non all’«uomo» o alla «donna», ma a un uomo che si chiamava Farinata degli Uberti, mettiamo, a una donna che si chiamava Pia dei Tolomei. Solo ciò che è contingent­e, transitori­o, soggetto all’errore e all’incertezza ha valore nell’eternità. Solo il particolar­e, in fin dei conti, è universale. Non abbiamo ancora smesso di sfruttare l’invenzione; non ce n’è stata ancora una così decisiva.

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