Corriere della Sera - La Lettura
Darwin
«Buon osservatore, ma senza capacità di ragionamento» gli dicevano alcuni suoi contemporanei e lui — Charles Robert Darwin — ribatteva: «Non credo che sia vero». Il suo capolavoro, L’origine delle specie (1859), «è tutta una lunga argomentazione» destinata a far mutar opinione a «non pochi uomini intelligenti», come leggiamo nella sua Autobiografia. «Ho sempre cercato di tenermi libero da idee preconcette in modo da poter rinunciare a qualunque ipotesi, anche se molto amata (e non so trattenermi da formularne una per ogni questione), non appena mi si dimostri che i fatti mi si oppongono. Non mi è dato di agire diversamente». Sembra Lutero alla Dieta di Worms, solo che la riforma cui Darwin mirava concerneva non Dio e l’anima ma le specie dei viventi. In una lettera del 1844 già confessava che «la conclusione generale che sono stato lentamente indotto a trarre partendo da una convinzione totalmente opposta è che le specie possono mutare e che specie affini discendono da ceppi comuni». E qualche anno prima (1838) era arrivato all’intuizione che nella «lotta per l’esistenza cui ogni essere è sottoposto le variazioni vantaggiose tendono a essere conservate, e quelle sfavorevoli a essere distrutte».
È questo il meccanismo della selezione naturale. Come osservava il fisico Ludwig Boltzmann agli inizi del Novecento, non c’era più bisogno di invocare un Disegno intelligente per spiegare «la meravigliosa bellezza dei fiori» o