Corriere della Sera - La Lettura

IL GIOVANE MARX ANTICIPÒ FUKUYAMA

- Di ANTONIO CARIOTI

Può sembrare la prosa di un liberale, fautore strenuo della proprietà privata: «Il comunismo — scrive Fabio Vander — non è stato totalitari­o per caso. Semmai pour cause. E cause necessaria». Ma il suo denso saggio Critica e sistema sul pensiero del giovane Karl Marx è pubblicato da Manifestol­ibri (pp. 365, € 28), casa editrice legata al noto «quotidiano comunista». E l’autore nei suoi interventi politici auspica il recupero della tradizione del movimento operaio, a suo avviso gettata a mare dal Pd già prima dell’avvento di Matteo Renzi.

Il fatto è che Vander, con lodevole onestà intellettu­ale, mette il dito nella piaga di uno scarto vistoso riscontrab­ile nella filosofia di Marx tra dialettica e ontologia, ovvero tra le categorie di «rivoluzion­e» e di «comunismo». Già, perché la negazione del capitalism­o, cioè la rivoluzion­e, è un «fatto storico-politico» per eccellenza, mentre il comunismo è «alterità assoluta» rispetto alle società del passato, «tale da rompere ogni legame con la storia». Altro che Fukuyama: Marx, sostiene Vander, indica una prospettiv­a ben più radicale quanto a «fine della storia». Nel filosofo di Treviri «non c’è una dottrina politica del comunismo perché il comunismo non conosce politica». Anzi si tratta di un tempo in cui non ci saranno più problemi da risolvere, quindi « aproblemat­ico, oltre che astorico e apolitico ».

Viene da aggiungere però che una condizione del genere è immaginabi­le solo con l’estinzione dell’imperfetto genere umano, che problemi invece ne pone di continuo. E a questo punto si va ben oltre la critica liberale alle potenziali­tà totalitari­e del pensiero di Marx. Qui si fornisce un’involontar­ia conferma alla tesi del matematico russo Igor Šafarevic, cristiano tradiziona­lista scomparso di recente, che vedeva nel socialismo l’espression­e dell’«istinto di morte». Forse è un po’ troppo.

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