Corriere della Sera - La Lettura
IL GIOVANE MARX ANTICIPÒ FUKUYAMA
Può sembrare la prosa di un liberale, fautore strenuo della proprietà privata: «Il comunismo — scrive Fabio Vander — non è stato totalitario per caso. Semmai pour cause. E cause necessaria». Ma il suo denso saggio Critica e sistema sul pensiero del giovane Karl Marx è pubblicato da Manifestolibri (pp. 365, € 28), casa editrice legata al noto «quotidiano comunista». E l’autore nei suoi interventi politici auspica il recupero della tradizione del movimento operaio, a suo avviso gettata a mare dal Pd già prima dell’avvento di Matteo Renzi.
Il fatto è che Vander, con lodevole onestà intellettuale, mette il dito nella piaga di uno scarto vistoso riscontrabile nella filosofia di Marx tra dialettica e ontologia, ovvero tra le categorie di «rivoluzione» e di «comunismo». Già, perché la negazione del capitalismo, cioè la rivoluzione, è un «fatto storico-politico» per eccellenza, mentre il comunismo è «alterità assoluta» rispetto alle società del passato, «tale da rompere ogni legame con la storia». Altro che Fukuyama: Marx, sostiene Vander, indica una prospettiva ben più radicale quanto a «fine della storia». Nel filosofo di Treviri «non c’è una dottrina politica del comunismo perché il comunismo non conosce politica». Anzi si tratta di un tempo in cui non ci saranno più problemi da risolvere, quindi « aproblematico, oltre che astorico e apolitico ».
Viene da aggiungere però che una condizione del genere è immaginabile solo con l’estinzione dell’imperfetto genere umano, che problemi invece ne pone di continuo. E a questo punto si va ben oltre la critica liberale alle potenzialità totalitarie del pensiero di Marx. Qui si fornisce un’involontaria conferma alla tesi del matematico russo Igor Šafarevic, cristiano tradizionalista scomparso di recente, che vedeva nel socialismo l’espressione dell’«istinto di morte». Forse è un po’ troppo.