Corriere della Sera - La Lettura
La mia Ginny, adorabile bugiarda Racconto l’autismo normale
Società Il professore americano Benjamin Ludwig esordisce con un romanzo che narra senza retorica e stereotipi i disturbi di un’adolescente adottata. Proprio come sua figlia. «Non tutti sono geni della matematica»
«Possiamo sembrare diversi ma non lo siamo così tanto. Siamo normali. Proviamole stesse emozioni degli altri. Ci spaventiamo. Ci sentiamo soli. Ci preoccupiamo». Lo scrive in un intervento dal titolo «Sono autistica e la mancanza di autentiche voci autistiche nei libri mi fa arrabbiare», pubblicato l’anno scorso dal «Guardian» nello spazio dedicato alle opinioni dei teenager, la lettrice Sara Barrett. Un testo in cui denuncia i limiti che secondo lei ci sarebbero ancora nei romanzi ispirati all’autismo, come il personaggio quasi sempre maschio, genio della matematica, che rappresenta comunque per gli altri un «problema».
Un punto di vista personale, ma che coglie alcune questioni sulle quali anche il mondo letterario e accademico ha iniziato a ragionare. E alle quali sembra dare alcune risposte, a distanza, un libro che arriva dagli Stati Uniti: A bocca chiusa non si vedono i pensieri (Harper Collins Italia), esordio dell’insegnante di Letteratura inglese e Scrittura creativa, Benjamin Ludwig, 43 anni. Un romanzo ispirato «alla mia esperienza di padre che nel 2009 ha adottato un’adolescente autistica», dice l’autore. Che della figlia non vuole rivelare il nome né mostrare foto: «Oggi ha 21 anni, le sue disabilità intellettive sono notevoli, voglio proteggerla».
In parallelo alla crescita delle diagnosi, nell’ultimo ventennio i libri sui disturbi dello spettro autistico sono aumentati. Memorie scritte da genitori o da ragazzi che affrontano in prima persona questa sfida, ma anche storie di fiction di autori terzi. Un successo internazionale è stato, nel 2003, il romanzo Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte di Mark Haddon (edito in Italia da Einaudi): voce narrante il 15enne Christopher, affetto dalla sindrome di Asperger. Più recente, Se ti abbraccio non aver paura (Marcos y Marcos, 2012) di Fulvio Ervas, sul viaggio col padre di Andrea Antonello: ragazzo autistico poi autore di Baci a tutti (Sperling & Kupfer, 2015), in cui racconta il suo mondo. Così come Pier Carlo Morello in Macchia (Salani, 2016).
Numerosi pure i titoli all’estero, su cui, specie in Inghilterra e negli Stati Uniti, si è avviata una riflessione teorica, che è anche un antidoto al rischio di uno sfruttamento commerciale del tema. Importante, nel 2007, l’opera Autism and representation (Routledge), a cura del professore americano di inglese e cinema, Mark Osteen, scaturita da un convegno alla Case Western Reserve University di Cleveland (Ohio). Lo studio promuove il fiorire dei libri sull’autismo perché favorisce più consapevolezza nella società. Ma incoraggia a riflettere su che tipo di rappresentazioni ne vengano date. Pur comprendendo, nel caso della fiction, le necessità della trama, il libro invita a costruire un’immagine più «normalmente autistica» di chi è affetto dal disturbo: un individuo «non sempre dotato, come per compensazione, di un dono straordinario ma, come tutti, di un misto di abilità e disabilità».
Lo stesso spirito di Sara Barrett. E di A bocca chiusa non si vedono i pensieri. «Molti credono — osserva l’autore — che gli individui con autismo siano geni o eruditi. O che le persone con disabilità siano tutte “sante”. Ginny Moon, la mia protagonista autistica di 14 anni, anche lei adottata, imbroglia, mente, ruba. Spinta dai suoi bisogni, è meravigliosamente scorretta, libera e prigioniera allo stesso tempo delle sue percezioni». Il tema semmai, nota Ludwig, è «fino a che punto una persona con disabilità intellettive è responsabile delle sue azioni. È difficile capire se sta decidendo attivamente di compiere una scelta immorale o se è la disabilità che la porta a sbagliare».
Il romanzo, che racconta l’ambientamento di Ginny nella nuova famiglia, vive di questo continuo scarto. La narrazione in prima persona della ragazza — come ne Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, con analoghe e felici scelte linguistiche, mimetiche del pensiero della protagonista — ci consente di conoscere le ragioni delle sue azioni, l’ansia che la ossessiona, dovuta in parte al suo disturbo, in parte agli «strascichi» della precedente vita con la mamma biologica. Ginny si tormenta le dita, conta e compila liste per tranquillizzarsi, decifra in modo letterale un mondo che parla per metafore, arriva a scappare di casa. Ma né i genitori adottivi né l’efficace psichiatra — imperfetto deus ex machina — ne intuiscono le reali motivazioni, in un crescendo di tensione che coinvolge e suscita empatia nel lettore, che invece sa.
«I destinatari sono sia gli adulti sia i ragazzi. Molti insegnanti hanno condiviso il libro con gli studenti», dice l’autore. In effetti, se la delicatezza della storia conquista i grandi, la serie di avventure (avvincenti ma forse poco realistiche) di Ginny sembra più adatta al pubblico giovane.
Riesce la scelta di far vivere alla protagonista una sorta di viaggio di formazione attraverso le parole: via via Ginny impara a esprimere i pensieri senza più tenere la bocca chiusa per paura che escano scomposti e incontrollati. «La sua voce si caratterizza per il coscienzioso studio del linguaggio», conferma Ludwig. E così a pagina 40 la protagonista ammette: «È difficile parlare di come mi sento. Fa parte della mia disabilità ». Mentre a pagina 426 finalmente si riconosce: «Anche se provengo da un altro posto e la mia testa è diversa, ho ancora il mio nome e i miei occhi sono ancora verdi».
In più, rispetto ad altre storie sull’autismo, c’è il tema dell’adozione, realmente vissuto dai Ludwig. «Gestire il disturbo di nostra figlia — racconta lui — è stato meno drammatico che nel romanzo». Ma tre le criticità, confessa, c’è stato il legame con la madre biologica. «Voleva tornare da lei, è normale», dice il padre adottivo. Come Ginny che nel libro fa di tutto per rivedere l’«inaffidabile» Gloria. «Nella realtà a 18 anni abbiamo aiutato nostra figlia a incontrare la mamma — ricostruisce Ludwig — e ora hanno un rapporto sano. Tutti possono cambiare».
La ragazza intanto ha raggiunto i primi traguardi. «La scuola è stata una battaglia — dice il padre — ma si è diplomata con i compagni di classe. Poi ha ottenuto il primo lavoro. Non dimenticherò mai quanto era orgogliosa nella sua uniforme del negozio di alimentari. Ha raggiunto molto, molto di più di quanto ci era stato detto che avrebbe potuto ottenere».