Corriere della Sera - La Lettura

Il mecenate torna a casa e Beirut si dipinge la faccia

L’immobiliar­ista Ayad Nasser scappò dal Libano da piccolo, durante la guerra. In Germania ha fatto fortuna e ora ha stanziato 100 mila dollari per affidare il suo vecchio quartiere, Ouzai, all’estro dei pittori

- Di VINCENZO TRIONE

Be i r ut non è s ol o una ci t t à . È «un’idea che ha un significat­o per i libanesi e per l’intero mondo arabo», ha scritto Thomas Friedman. Un simbolo segnato da felicità e da declini. Un’araba fenice, destinata a risorgere mille volte dalle sue ceneri. Un emblema che, nei secoli scorsi, ha rappresent­ato la coesistenz­a e la reciproca tolleranza tra comunità religiose differenti. Ma anche un’icona della sofferenza e del male. Un eden. Un incubo. Poi, un eden. Ancora un incubo.

Gabriele Basilico se ne era fatto inquieto «storico» in diversi cicli fotografic­i. In un reportage del 1991, egli ha offerto paesaggi di dolore e di morte. Scheletri di edifici, strade sventrate. Cumuli di rovine vagamente piranesian­i. Fotogrammi da una catastrofe, avvolti in una luce ferma e smaltata, sottolinea­ta da un bianco e nero che, con nitido rigore, definisce ogni dettaglio. Ecco ciò che rimane di una metropoli dopo un crollo. Restano le quinte, riposte in atmosfere di sospension­e e di attesa, dense di echi tratti dalle tele di de Chirico e di Sironi. La metafisica, qui, sembra scaturire dal corpo delle cose. Un immenso cimitero, sotto un cielo di piombo. Un catalogo di macerie. Che attestano la fine di un mondo; ma, al tempo stesso, rendono incombenti attimi di quello stesso mondo. Poi, le cicatrici vengono rimarginat­e. Avvolta dentro un’effimera postmodern­ità, la Beirut ritratta nel 2003 da Basilico oscillava tra le eleganze di Parigi e gli eccessi consumisti­ci di Las Vegas. Qualche anno dopo questo incanto verrà di nuovo infranto. E il paradiso diventerà i nfe r no. L’a r a ba fenice tornerà nella polvere.

Eppure, è ancora possibile un’altra rinascita. Partendo dal basso. E da l l ’a r te . È qu e l ch e cr e d e Ay a d Nasser, la cui vicenda ha qualcosa di romanzesco. Nato a Beirut nel 1970, a sei anni, allo scoppiare della guerra civile, Nasser lascia il quartiere di Ouzai. Dapprima, con il padre, si rifugia nel nord del Libano; poi raggiunge la madre a Monaco di Baviera. Dove diventa un potente e facoltoso imprendito­re nel settore immobiliar­e. Con la passione per l’arte. Dopo più di quarant’anni, Nasser ha deciso di ritornare nella sua terra. Con un’ambizione: favorirne il riscatto. Investendo non su centri commercial­i ma sulle forme dell’arte pubblica. Si è comportato da mecenate, non da speculator­e, destinando oltre centomila di dollari al «rinascimen­to» del quartiere dove aveva trascorso l’infanzia.

Una scelta che ha precise valenze estetiche e, insieme, politiche. Nasser muove da una convinzion­e sempre più diffusa a livello internazio­nale. A diverse latitudini prevale spesso l’inclinazio­ne a trasformar­e (anche) i contesti urbani più periferici e disagiati in spazi capaci di attrarre. Si perseguono l’insolito, la sorpresa, lo stupore. Si ricercano l’emozione e l’empatia immediata. I luoghi — finanche quelli più marginali — devono riuscire a sedurre. Da più parti, si avverte il bisogno di riscoprire il

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 ??  ?? Sopra e sotto: due interventi dello street artist Ashekman realizzati nel quartiere Ouzai di Beirut; per i suoi lavori il graffitist­a libanese ha collaborat­o con alcuni colleghi europei, russi e americani
Sopra e sotto: due interventi dello street artist Ashekman realizzati nel quartiere Ouzai di Beirut; per i suoi lavori il graffitist­a libanese ha collaborat­o con alcuni colleghi europei, russi e americani

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