Corriere della Sera - La Lettura

E la classe operaia va di nuovo in paradiso

- Di MAURIZIO PORRO

Claudio Longhi lavora a una riduzione per il palcosceni­co del film di Petri e Pirro. «Cavalco il grottesco per superare il realismo»

«Checché ne dicano oggi i comunisti del Pci, quello del 1969-70 resta uno dei periodi più vivi della storia. Per me un operaio è un essere umano, in quel periodo invece era un santo, un martire». Così scriveva Elio Petri, affilando una delle innumerevo­li polemiche partorite da La classe operaia va in paradiso, 1971, Palma d’oro a Cannes col Caso Mattei di Rosi, un miliardo e 249 milioni l’incasso. Dopo 46 anni Claudio Longhi, neo direttore Ert (Emilia Romagna Teatro fondazione), con Lino Guanciale, star nazional popolare tv, hanno pensato di omaggiare la materia ancora infuocata di quel film per trarne motivo di ripensamen­to, se possibile allungando il cahier delle polemiche.

Allora litigarono tutti con tutti, a partire da Petri con Volonté sul set, poi il regista coi comunisti, coi sindacati, gli studenti, i critici, la Chiesa, tanto che i più favorevoli, in storico paradosso, rimangono gli industrial­i, indifferen­ti a che l’alienazion­e ci colpisse tutti quanti, secondo l’Eclisse prevista da Antonioni. «Sulla sceneggiat­ura di Pirro e Petri — racconta Longhi — lavoriamo con Paolo Di Paolo, secondo la prima idea di Guanciale. Non vogliamo la riduzione teatrale di un film, ma aizzare la fiamma ancora accesa, osservare la genesi e la ricezione ieri e oggi di un’opera che fu cartina tornasole per indagini al di sopra di ogni sospetto su dinamiche sociali e culturali ben visibili oggi».

Pirro diceva che il cinema italiano fino ai Settanta fu un cantiere dove si costruiva un percorso artistico e la nascita di una nazione. «È affascinan­te riaprire il cantiere e osservare le reazioni, creando un teatro che sia anche riflession­e, spezzone di film e commenti, pancia e testa: perché oggi ai ragazzi il film appare lungo e senza interesse?». Eppure è un cult, come la coppia Volonté-Melato. «Al centro di questa analisi antropolog­ica sull’Italia di allora — dice Longhi a “la Lettura” — emerge il tema del lavoro e quel che resta del pensiero rivoluzion­ario: mi colpisce quanto siano cambiate le cose. Allora i ruoli erano chiari: Petri e Pirro non andarono a ritirare l’Oscar per Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto perché erano comunisti. Era un mondo in cui la spinta rivoluzion­aria e la dimensione ideologica avevano una loro collocazio­ne, oggi la mancanza di ideologia è una ideologia camuffata: Edoardo Sanguineti diceva che gli unici comunisti sono i capitalist­i che riconoscon­o l’identità di classe».

Il mondo del lavoro e della fabbrica è stata una bella voce forte del nostro cinema, da Romanzo popolare a Trevico-Torino, da I giorni contati a I compagni. E cinema voleva dire allora ricezione di massa, così come con la collettivi­tà piace lavorare a Longhi, che sta studiando un progetto sulla ex centrale elettrica di Modena, baricentro di una certa industrial­izzazione. Il rapporto del tempo esistenzia­le con quello produttivo è da sempre il lato drammatico della giornata tipo di un operaio e il film di Petri era l’affondo su un affresco più vasto, da inizio Novecento, compresi il Futurismo, il culto della macchina, l’incubo alienazion­e. Il film doveva girarsi a Roma, ma poi si trovò una fabbrica con gli operai in sciopero come comparse. «Ho acceso la miccia — spiega Guanciale che sarà Lulù Massa, il proletario comunista imbattibil­e nel cottimo — perché mi pare che il film affronti problemati­che vive, un ragionamen­to sulla scomparsa dell’identità di classe. È la storia di una riflession­e ribollente, magmatica e conflittua­le su un nodo della coscienza politica di allora cui Petri regalò la profezia non indifferen­te del destino di un’alienazion­e espressa dal mondo virtuale tecnologic­o».

Amatissimo dal pubblico tv, amante di Stendhal, Guanciale con la dovuta umiltà non può che rifarsi a Volonté. «Creò allora il suo Metodo, litigando con tutti, anche quando Petri per compiacere il lato Actor’s Studio gli preparava la cucina pregna di odore d’aglio. Ci sono momenti indimentic­abili, personaggi come il cronometri­sta, e resta fondamenta­le la scena casalinga coi desideri piccolo borghesi in agguato e il riflesso catodico ambiguo della tv». Oggi quel riflesso, quel riverbero azzurrino, si è ingigantit­o, sono i lampi dei telefonini: «Ognuno ha davanti il suo schermo. Alcuni dicono che il film è nostalgico, datato, altri lo percepisco­no come il fallimento di una società, ci sono quelli ancora irritati, ma pochi sono disposti a dare a Petri il ruolo del profeta per quella sentenza che non si esce dalla propria classe. Oggi la classe proletaria comprende studenti, immigrati sottopagat­i, il precariato. L’inganno borghese ha fatto il suo corso inseguendo il fantasma della pax sociale. Dal 1971 in poi è successo di tutto ma Petri voleva parlare di persone umane, per questo in scena ci saranno anche spettatori a discutere delle condizioni complicate degli operai di oggi».

Claudio Longhi insiste che lo spettacolo non sarà una fuga indietro ma seguirà l’idea brechtiana che da lontano il passato si capisce meglio. «Era un cinema politico ma grottesco, quel lato imperfetto che non viene percepito dai ragazzi di oggi. Noi, in una struttura scenografi­ca modulare da non luogo, vogliamo cavalcare quel grottesco che stava a cuore all’autore per superare il realismo». Lavorano bene, in gruppo, condividon­o: «Siamo tasselli di un percorso unitario non progettual­e ma istintivo: la questione vera è la funzione politica del teatro di cui il teatro politico è solo un’espression­e», dice il regista. «Riflettere sulla posizione del teatro, il suo forte valore politico-liturgico-religioso come spazio forse minoritari­o con una vitalità però maggiorita­ria. I ragazzi di oggi amano il teatro quando scoprono che non è un noioso rito borghese». Riassume Lino Guanciale, interprete anche di Ragazzi di vita di Pasolini a Roma: «Non vedo l’ora di buttarmi nel progetto per ritrovare anche solo un grammo dell’esaltazion­e che c’era allora lavorando su questo materiale altamente infiammabi­le, quei due mesi in quella fabbrica con la mobilitazi­one sociale deve essere stata un’esperienza straordina­ria. Il confronto con Volonté? Lo so, lo aspetto, me tocca ».

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