Corriere della Sera - La Lettura
Il cannibale si fa fregare da Napoleone
Torna il commissario Vivacqua con la caccia a un sadico tra passato e cronaca
Il commissario Vivacqua di Carlo F. De Filippis è tornato. L’avevamo conosciuto due anni fa ( Le molliche del commissario, Giunti), impegnato nella caccia a un assassino imprevedibile e imprendibile. Anche qui, ne Il paradosso di Napoleone (Mondadori), c’è un killer che sembra uccidere a caso, un folle affezionato a macabri rituali (mangia gli organi di due delle vittime) e al piacere sadico di fare del male. Quando arriva la scoperta della prima vittima — un pittore ex hippy che vive ritirato in una tenuta vicino a Carmagnola — la Questura di Torino è in agitazione per la visita di un in- viato del ministero degli Interni: ci sono troppi casi irrisolti, dice il funzionario, nella statistica europea la polizia italiana fa una pessima figura, si mettano dunque subito a riaprire i cold case e vedano di trovare qualcosa.
Proprio uno di questi dossier di una decina di anni prima, la rapina a una ditta di sistemi di sicurezza, la Securplan (morti e feriti, i presunti rapinatori annegati nel Lago Maggiore, oltre 4 milioni di euro di refurtiva mai ritrovati), diventa per Vivacqua la falsariga di un’indagine molto arrischiata che si basa solo sul suo intuito. Quando il numero dei morti massacrati arriva a 5, qualcosa comincia a precisarsi — per esempio, l’identità del killer — e si riescono a scorgere i possibili collegamenti con gli autori dell’assalto alla Securplan.
Raccontato a capitoli alternati (le giornate e le notti di Vivacqua e della sua squadra da una parte; dall’altra le azioni sadiche dell’assassino, con i dettagli più cruenti e il cannibalismo che ricorda molto Hannibal Lecter) Il paradosso di Napoleone rinvia fino alle ultime pagine la soluzione, in un crescendo di tensione che contagia il lettore.
Intanto Vivacqua si trova a fronteggiare la crisi familiare: Tommy, il setter di casa, è spari- to, la moglie e i due figli si impegnano nella ricerca e rimproverano il capofamiglia che latita, preso com’è da un’altra caccia. A lui, del resto, il questore concede solo pochi giorni per risolvere il caso, scaduto quel termine sarà sostituito dai detective inviati dal ministero. Sullo sfondo di una Torino minore — fabbrichette, centri commerciali, villini di periferia, capannoni abbandonati — Vivacqua prosegue testardo seguendo la sua ipotesi, senza prove, senza conferme. È un investigatore tradizionale, che sa che la verità si nasconde nei dettagli, anche se è terribilmente difficile scoprire il dettaglio rivelatore.