Corriere della Sera - La Lettura
IL CUORE AFRICANO DI UNA METROPOLI
La sua Africa, quella di Diébédo Francis Kéré, architetto nato a Gando, Burkina Faso, nel 1965, è una grande tettoia in acciaio con oscuranti in legno e una «pelle» trasparente che protegge dal sole e dalla pioggia, permettendo però alla luce di entrare. L’Africa di Kéré sarà, almeno fino all’8 ottobre, anche quella dei londinesi, che hanno scelto il suo progetto, il primo di un africano, per il Padiglione della Serpentine Gallery. La sua idea: «Come succede in Burkina Faso, dove all’ombra dei rami degli alberi le persone si riuniscono e svolgono le attività quotidiane, il Padiglione dovrà diventare un luogo di condivisione». Londra sembra voler riscoprire la sua antica passione per l’Africa. Perché (pur senza parlare della scelta da parte della Regina di avere Nana Kofi Twumasi-Ankrah, origini ghanesi, come scudiero) all’ex Continente Nero guarda, ad esempio, il neodirettore del Tatenetwork, Maria Balshaw, che come prima esposi- zione ( fino al 22 ottobre) ha scelto Soul of a nation. Art in the age of Black power (venti anni di creatività afroamericana, dal 1963 al 1983). Sempre un omaggio all’Africa è quello che martedì si apre alla Tyburn Gallery, zona Bond Street: Untitled ( fino al 15 settembre), retrospettiva dedicata a un’Africa diversa e assai contemporanea ( tra gli artisti: Joël Andrianomearisoa, Edson Chagas, Victor Ehikhamenor, Mouna Karray, Mónica de Miranda). D’altra parte non arriva forse dalla Tanzania, David Adjaye, progettista (naturalizzato britannico) del National Museum of African American History and Culture di Washington, progetto simbolo dell’era Obama? Eppure, tanto per parlare di architettura (e nonostante tutte le candidature collezionate proprio da Adjaye), ancora nessuna traccia di Africa tra i vincitori del Pritzker. Magari il 2018 sarà l’anno buono.