Corriere della Sera - La Lettura

Il nuovo grande romanzo? Astrofisic­a e genetica

- Di GIULIO GIORELLO

Bibliotech­e Fu Galileo a parlare di Grande libro del Mondo. Fu Darwin, salpato sul brigantino Beagle con la certezza che le specie animali e vegetali fossero immutabili, a convincers­i del contrario e a immaginare una «narrazione» evolutiva. Furono Gregor Mendel e Paul Dirac ad aprire la strada a nuovi studi per raccontare i segreti della natura e quelli dell’uomo. Oggi gli straordina­ri sviluppi raggiunti da queste due fantastich­e discipline consentono di concludere che...

Chi di noi non ha almeno una volta alzato gli occhi per contemplar­e lo spettacolo del cielo stellato e non si è posto — come fanno i bambini e i poeti — la domanda sul senso e la funzione di tutte quelle luci che popolano il buio notturno? Nei secoli passati grandi protagonis­ti della scienza e dell’arte hanno spedito con la forza della fantasia gli eroi più diversi sulla Luna, su Marte e perfino «oltre Saturno», perché raccontass­ero agli altri terrestri che cosa si poteva scorgere «da lassù». E oggi?

Faccio mia una consideraz­ione di Guido Tonelli, uno dei protagonis­ti della scoperta del «bosone di Higgs» al Cern di Ginevra: «Se i nostri occhi potessero vedere quello che osserva Planck, il satellite che ha raccolto i dati finora più precisi, avremmo un’immagine meraviglio­sa del cielo che ci sovrasta. Vedremmo innanzitut­to un’omogeneità incredibil­e, che si può spiegare solo ammettendo che tutto ciò che ci circonda è il frutto dell’espansione di un unico punto di dimensioni i nf i ni te s i mali . Ma ve dre mmo a nche un’esplosione di colori dovuta alle minuscole fluttuazio­ni di temperatur­a della radiazione cosmica: sono quelle le tracce fossili delle fluttuazio­ni quantistic­he di quel minuscolo punto iniziale da cui ha avuto origine tutto».

Quella fluttuazio­ne originaria è stata in grado di produrre la realtà che ci circonda, facendo emergere l’universo materiale che ha ben presto raggiunto enormi dimensioni, cominciand­o a evolversi. Il nostro universo ha una storia che dura da più di 13,8 miliardi di anni. Cosmologi e astrofisic­i che la studiano sono dei veri e propri «romanzieri», e la loro narrazione ci emoziona e ci sconcerta proprio perché non si fissa esclusivam­ente sull’inizio, ma prospetta anche ipotesi circa l’eventuale fine di «tutto quello che è».

L’universo si spegnerà nel freddo e nel buio oppure tra i fulgori di una catastrofe cosmica, ben più impression­ante di una lenta decadenza? Entrambe le alternativ­e non paiono imminenti al giorno d’oggi; eppure, quando qualche specialist­a accenna al largo pubblico esiti di questo genere, c’è sempre chi prova una sensazione di sgomento. Non è semplice irrazional­ità; si tratta, invece, dell’intuizione della possibile relazione che possiamo sentire — scrive ancora Guido Tonelli — «tra la precarietà della condizione umana e quella dell’universo nel suo complesso. Come se la nostra fragilità di esseri umani, corpi delicati che possono essere annientati da uno stupido frammento di Dna che impazzisce o da una caduta dalle scale, fosse il riflesso su scala microscopi­ca di una precarietà cosmica che interessa perfino le strutture gigantesch­e che ci circondano e che, a prima vista, ci sembrano immortali».

Non troppo diversamen­te dai grandi autori del Novecento che hanno saputo mettere in scena la fragilità di personaggi che hanno via via scoperto di non aver mai posseduto la chiave delle loro vicende — penso a Robert Musil, Franz Kafka, James Joyce, William Faulkner, André Gide e molti altri — anche quello del nostro universo è a tutt’oggi un romanzo con mille punti oscuri.

Mi ha sempre colpito qualcosa di simile già nelle pagine di Galileo Galilei, che più volte insiste sulla profonda debolezza della creatura umana, che pure cerca di aver ragione degli enigmi del mondo. Galileo resta, comunque, uno dei grandi eroi della scienza moderna: colui che ha dichiarato la natura composita della Via Lattea, ha osservato montagne e valli della Luna, ha scoperto quattro satelliti di Giove. Galileo sentiva comunque di avere dalla sua parte Iddio onnipotent­e che aveva scelto il linguaggio della matematica per comporre il Grande Libro del Mondo.

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