Corriere della Sera - La Lettura

Un delitto, un po’ di sesso E il racconto è finito

C’è uno scrittore che da nove anni non pubblica. E c’è Hilik che non smette di fargli pressioni, e si arrabbia, e scaglia una tazzina da caffè (piena) contro un muro. Ma il narratore ha la ricetta: un delitto, un letto e dei pensieri sparsi su una spiaggi

- Di ETGAR KERET

Hilik arriva verso mezzogiorn­o. «Ti interrompo?», chiede. Gli faccio cenno di entrare, ma lui esita ancora sulla soglia. «Se stavi lavorando», dice, «torno più tardi. Non voglio disturbart­i o altro, ero solo curioso». Faccio il caffè e andiamo a sederci in soggiorno. Lui non lo beve, neanche lo assaggia, e sprofonda nel divano cercando di sorridere. «Sono passato solo per vedere come sta andando», dice. «Alla casa editrice sono sulle spine e non vedono l’ora di leggerlo». «Bene», dico, «sta andando bene». «Fantastico», Hilik sorride, «sono contento. Perché, sai, sono già nove anni. A marzo, voglio dire, saranno nove, e da allora non hai scritto nulla...».

«Ma sì», dico, «scrivo in continuazi­one. Solo che ancora non è buono».

«Devi sapere», dice Hilik tenendo le mani sopra il caffè in modo da sentirne il vapore, «che con la tua reputazion­e si venderà anche se non è il massimo. Ti assicuro che durante la Settimana del libro ogni dieci minuti veniva qualcuno a chiedere quando pubblicher­ai un nuovo libro. Chiedi a Dubi. Dopo quasi dieci anni, anche una schifezza si venderà. Ma se non scrivi nulla, allora...».

«Scrivo», dico, «in continuazi­one. Ma non ho voglia di pubblicare un libro non buono, anche se tu o Dubi...».

«Certo», mi interrompe Hilik, «nessuno dice che non deve essere buono. Può anche essere buono, venderà anche meglio. Però finisci un libro, per l’amor di Dio».

Lo conosco. Non è la prima volta che viene qui. Presto comincerà a parlare di sua figlia, quella paralizzat­a, poi si metterà a piangere. Alla fine si mette sempre a piangere. «Ho quasi finito», dico, cercando di bloccarlo, «altre cinquanta pagine, al massimo». «Cinquanta?», ripete Hilik diffidente. «Sì», dico, cercando di sembrare entusiasta. «Cinquanta al massimo. Devo solo fare in modo che il protagonis­ta uccida qualcuno che se la cerca, per autodifesa. Poi andrà a letto con la sorella del morto senza che lei sappia che è stato lui a ucciderlo. C’è poi qualche altra pagina sui suoi pensieri mentre cammina sulla spiaggia di Cesarea. E un breve epilogo con lui in taxi che, mentre torna al suo appartamen­to, sente alla radio del disastro delle Torri gemelle, così il lettore può collocare la trama in un contesto storico».

«Cinquanta pagine, dici», fa Hilik stringendo il manico della tazza di caffè, «cinquanta al massimo e le Torri gemelle?». Si ferma per un attimo, poi scaglia la tazza contro il muro. Una macchia nera appare sulla parete e comincia a colare verso il pavimento. «Ti ricordi quello che mi hai detto l’ultima volta? Venti pagine, hai detto, venti! Venti pagine e l’assassinio di Rabin. Se non stai scrivendo, non scrivere, ma per l’amor di Dio, ci conosciamo da più di 25 anni, da prima che il mio Yifat nascesse, quindi non raccontarm­i balle».

Non dico niente. Neppure Hilik parla. Vedo che lentamente si rende conto di quello che ha fatto. La macchia sta ancora colando, presto arriverà al tappeto. «Hai uno straccio?». Chiede dopo il breve silenzio. «Non alzarti, dimmi solo dov’è e pulisco io». Scuoto la testa, proprio non mi sembra di averne uno.

«Mi dispiace», dice, «ho perso il controllo. Non è da me. Sto attraversa­ndo un brutto periodo. Ti chiedo scusa. Mi perdoni?». Annuisco. «Bene», dice Hilik, «allora vado. Non voglio disturbart­i... Cinquanta pagine, hai detto? Bene, hai quasi finito. Non scrivere una fine troppo deprimente, d’accordo? Lascia un barlume di speranza. Alla gente piace pensare che ci sia ancora una possibilit­à». Si ferma sulla porta e dice: «Mi dispiace molto per il caffè. Non sei arrabbiato, vero? È solo che, mia figlia, non se la passa bene...». E inizia a piangere. Gli metto una mano sulla spalla. Esattament­e la stessa su cui ho messo una mano la volta scorsa.

«La vita è crudele», dice Hilik, «una vera carogna. Senza cuore. Ti trita fino a quando non c’è più nient’altro che polvere. Scrivi di questo. Scrivi qualcosa su questo. Non ora, nel tuo prossimo libro».

«Te lo mando appena ho terminato», dico prima di chiudere la porta. «Non ci vorrà più molto. Sono proprio alla fine».

Dopo che Hilik è uscito mi siedo davanti al computer e guardo dei siti porno. Uno mostra una ragazza con una treccia che si chiama Nikki. Parla una lingua che non capisco e beve sperma da un bicchiere che qualcuno le porta. Chiudo il sito e mi metto alla tastiera. Ho molte idee in testa. Troppe. Questa volta, mi dico, farò in modo diverso. Questa volta proverò a cominciare dalla fine. «Non parliamo di questo adesso», sussurra Nikki, coprendosi la bocca con la mano morbida, «non pensarci. Baciamoci soltanto e guardiamo il tramonto».

Il sole era quasi completame­nte sprofondat­o nel mare nero e un solo, ostinato raggio di luce guizzava in cielo nell’estremo, disperato sforzo di dare al mondo completame­nte buio un altro barlume di luce.

( traduzione di Maria Sepa)

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? ILLUSTRAZI­ONE DI FRANCESCA CAPELLINI
ILLUSTRAZI­ONE DI FRANCESCA CAPELLINI

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy