Corriere della Sera - La Lettura
Il ritorno del telescopio che creò il mito di Marte
Astronomia Dopo un complesso lavoro di restauro e riallestimento durato quattro anni, verrà esposto dal 29 settembre al Museo della scienza di Milano lo storico strumento con cui Giovanni Virginio Schiaparelli scrutò il «pianeta rosso» e ne definì la prim
Sembrava un’impresa impossibile, ma ora un bene culturale simbolo della storia dell’astronomia e della scienza italiana nel mondo è al sicuro. E dal 29 settembre si potrà ammirare nella sua perfezione ottocentesca nella sezione «Spazio» del Museo nazionale della scienza e della tecnologia «Leonardo da Vinci» di Milano. È il grande telescopio Mer z-Reps olddiGiov anni Virginio Schiaparelli, che portò gli occhi sulle sabbie rosse di Marte, aprì la fantasia a storie cosmiche senza fine e consolidò la ragionevole prospettiva di scoprire la vita fuori della Terra. Eppure l’eccezionale strumento è rimasto per decenni smembrato in casse di legno. Poi, una volta ricomposto grazie alla passione di chi credeva nel suo valore per comunicare una delle pagine più affascinanti dell’ esplorazione celeste, nessuno, incredibilmente, lo voleva ospitare.
La storia inizia in Parlamento il 10 giugno 1878, quando Quintino Sella, ex ministro delle Finanze, sostiene deciso il progetto di un grande telescopio per l’Osservatorio milanese di Brera, nonostante le ardue condizioni economiche. Rapidamente il 3 luglio il Senato approva, garantendo 250 mila lire d’oro.
Con un telescopio Merz più piccolo, di 22 centimetri, Schiaparelli, dopo la scoperta dell’asteroide Esperia e di una cometa grazie alla quale spiega l’origine delle stelle cadenti, nell’agosto 1877 inizia a scrutare Marte, il pianeta più vicino alla Terra, individuando la presenza di segni geometrici che chiama canali. Il Merz è però insufficiente; ne occorre un altro per rivelare la vera natura delle misteriose formazioni. Per questo si rivolge a Sella e il nuovo telescopio, uno dei più potenti in Europa, sarà costruito in Germania da Merz e Repsold: consentirà di individuare dettagli prima invisibili. Le linee dei canali si sdoppiano, evidenziando colori diversi, e Schiaparelli completa la prima mappa di Marte con i nomi validi ancora oggi. L’astronomo Camille Flammarion in Francia esalta i risultati, mentre negli Stati Uniti Percival Lowell costruisce un osservatorio in Arizona per indagare più a fondo i canali, ritenendoli artificiali e costruiti da esseri intelligenti. Nascono così il mito del marziano e la fantascienza di Herbert George Wells con La guerra dei mondi.
Schiaparelli scompare nel 1910. Nel 1936, per sfuggire alle luci della città, il telescopio viene trasferito nel nuovo osservatorio di Merate, dove per un inci- dente durante un intervento di manutenzione alla fine degli anni Cinquanta la lente si rompe: tutto lo strumento finisce immagazzinato in attesa di una sorte migliore.
«Schiaparelli è l’astronomo italiano più conosciuto nel mondo dopo Galileo Galilei — ricorda Giovanni Pareschi, che dal 2008 alla fine del 2014 ha diretto l’Osservatorio di Brera —. E mi piangeva il cuore vedere il suo grande telescopio inscatolato. Volevo farlo risorgere e ne parlai durante una visita in osservatorio all’onorevole Lino Duilio della commissione Bilancio della Camera, che si appassionò e sostenne l’approvazione di un contributo di 80 mila euro per avviare il restauro. Poi si sono aggiunti 12 mila euro da parte della Fondazione Banca del Monte di Lombardia». L’impresa è stata affidata all’Associazione per il restauro degli antichi strumenti scientifici (Arass) di grande esperienza nel ripristino di apparati astronomici degli osservatori di Padova, Torino, Trieste e Bologna e già protagonista del rinnovamento del primo telescopio di Schiaparelli. «È stato un lavoro appassionante, ma arduo, perché bisognava ricostruire alcuni elementi perduti nel tempo — racconta il suo presidente, Nello Paolucci — e per questo ci siamo consultati anche con osservatori europei che possedevano telescopi analoghi. Noi siamo tutti specialisti volontari ospitati con affitto simbolico dalla società OpenCare. In quattro anni abbiamo completato l’opera».
A quel punto bisognava trovare una sistemazione. «Ho bussato a tutte le porte, dal Comune alla sovrintendenza di Palazzo Brera, al Planetario: inutile, ottenevo solo rifiuti», ricorda Pareschi. Altrettanti ne ha raccolti il suo successore Gianpiero Tagliaferri, che tenacemente ha continuato a cercare una collocazione. E dopo un’ipotesi di sistemazione al Museo di Malpensa, è emersa la soluzione al Museo della scienza; la migliore che si potesse immaginare e garantita da un finanziamento di 30 mila euro dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e 12 mila della Fondazione Cariplo. «Dopo sette anni il sogno di rivederlo integro si è realizzato. E si potrà ammirare in una collocazione di grande livello», dice Tagliaferri.
«Il prezioso telescopio che ha segnato una tappa della planetologia— nota Fiorenzo Galli, direttore generale del museo — non è mai stato visto dal grande pubblico e ora migliaia di visitatori ne coglieranno il fascino. Restituiamo all’Italia un oggetto di grande valore a testimoniare una continuità con i progetti di oggi come Ska e Elt, nei quali i nostri scienziati sono protagonisti. Siamo riusciti nell’impresa grazie al sostegno di persone che hanno compreso l’importanza di ricordare come Milano, grazie a Schiaparelli, fosse diventata un punto di riferimento dell’astronomia mondiale».
L’iniziativa Fu l’ex ministro Quintino Sella a sostenere con forza in Parlamento, nel 1878, il progetto a favore dell’Osservatorio di Brera