Corriere della Sera - La Lettura
In bocca l’archivio dell’Homo sapiens
La funzione essenziale della dentatura e della dieta
Forse non ce ne rendiamo conto, ma portiamo in bocca la nostra storia. I denti sono un archivio delle nostre esperienze, comprese quelle di chi ci ha preceduto: possono rivelare un’adolescenza sofferta, migrazioni, inquinamento, malattie congenite, ma anche età, cambiamenti culturali, abitudini alimentari.
In Evolution’s Bite («Il morso dell’evoluzione», Princeton University Press), il paleoantropologo e biologo evoluzionista Peter Ungar presenta un resoconto avvincente del modo in cui l’interazione fra denti, dieta e ambiente ha plasmato l’evoluzione. La storia parte dalla straordinaria dentatura del Paranthropus boisei, un ominide vissuto tra 2,3 e 1,3 milioni di anni fa nell’Africa orientale, e arriva fino a oggi, in un viaggio tra archeologia, storia del clima, osservazioni sul campo e analisi di laboratorio.
Ungar mostra come i cambiamenti nella scelta del cibo, nelle modalità del suo procacciamento e nella sua successiva elaborazione abbiano giocato un ruolo importante nella definizione stessa di uomo. Il cervello umano ha bisogno di cibo di alta qualità: le nostre caratteristiche fisiche ci hanno consentito precise modalità di caccia e di nutrimento, e la condivisione del cibo con familiari e membri della comunità ha consolidato rapporti sociali rivelatisi cruciali nei momenti di bisogno; lo sviluppo di nuovi utensili e la cottura dei cibi ci hanno permesso poi di ottenere energia ed elementi nutritivi altrimenti inaccessibili.
La dieta più varia così raggiunta ci ha consentito di colonizzare terre prima inospitali, e la transizione dalla caccia all’agricoltura (la cosiddetta «rivoluzione del Neolitico») ha cambiato radicalmente il nostro modo di vivere. Con buona pace degli entusiasti di una fantomatica «paleodieta», la versatilità è la chiave della nostra evoluzione. Lo dicono i nostri denti.
Oggi quel divino protagonista sembra essersi ritirato dalla scena dell’universo: per alcuni dei ricercatori intellettualmente più stimolanti e scientificamente audaci il romanzo della scienza potrebbe fare a meno del Signore. Ma questa è solo una parte della nostra storia. Il fatto è che c’è almeno una piccolissima porzione del nostro universo — il pianeta Terra — che ospita quel meraviglioso intreccio di mobilità, autosostentamento e riproduzione che chiamiamo vita. E anche l’evoluzione del vivente — e non soltanto quella delle strutture del cosmo — ci appare come un romanzo pieno di emozionanti colpi di scena.
Lo aveva ben intuito Charles Darwin nel corso del «lungo ragionamento» che sarebbe sfociato nel suo capolavoro del 1859, L’origine delle specie. Aveva lasciato l’Inghilterra per viaggiare sul brigantino Beagle, convinto che le specie animali e vegetali fossero «fisse» e al suo ritorno aveva elaborato la concezione opposta che queste mutassero, seppur in modo graduale, per adattarsi a nuove esigenze ambientali.