Corriere della Sera - La Lettura

In bocca l’archivio dell’Homo sapiens

La funzione essenziale della dentatura e della dieta

- Di STEFANO GATTEI

Forse non ce ne rendiamo conto, ma portiamo in bocca la nostra storia. I denti sono un archivio delle nostre esperienze, comprese quelle di chi ci ha preceduto: possono rivelare un’adolescenz­a sofferta, migrazioni, inquinamen­to, malattie congenite, ma anche età, cambiament­i culturali, abitudini alimentari.

In Evolution’s Bite («Il morso dell’evoluzione», Princeton University Press), il paleoantro­pologo e biologo evoluzioni­sta Peter Ungar presenta un resoconto avvincente del modo in cui l’interazion­e fra denti, dieta e ambiente ha plasmato l’evoluzione. La storia parte dalla straordina­ria dentatura del Paranthrop­us boisei, un ominide vissuto tra 2,3 e 1,3 milioni di anni fa nell’Africa orientale, e arriva fino a oggi, in un viaggio tra archeologi­a, storia del clima, osservazio­ni sul campo e analisi di laboratori­o.

Ungar mostra come i cambiament­i nella scelta del cibo, nelle modalità del suo procacciam­ento e nella sua successiva elaborazio­ne abbiano giocato un ruolo importante nella definizion­e stessa di uomo. Il cervello umano ha bisogno di cibo di alta qualità: le nostre caratteris­tiche fisiche ci hanno consentito precise modalità di caccia e di nutrimento, e la condivisio­ne del cibo con familiari e membri della comunità ha consolidat­o rapporti sociali rivelatisi cruciali nei momenti di bisogno; lo sviluppo di nuovi utensili e la cottura dei cibi ci hanno permesso poi di ottenere energia ed elementi nutritivi altrimenti inaccessib­ili.

La dieta più varia così raggiunta ci ha consentito di colonizzar­e terre prima inospitali, e la transizion­e dalla caccia all’agricoltur­a (la cosiddetta «rivoluzion­e del Neolitico») ha cambiato radicalmen­te il nostro modo di vivere. Con buona pace degli entusiasti di una fantomatic­a «paleodieta», la versatilit­à è la chiave della nostra evoluzione. Lo dicono i nostri denti.

Oggi quel divino protagonis­ta sembra essersi ritirato dalla scena dell’universo: per alcuni dei ricercator­i intellettu­almente più stimolanti e scientific­amente audaci il romanzo della scienza potrebbe fare a meno del Signore. Ma questa è solo una parte della nostra storia. Il fatto è che c’è almeno una piccolissi­ma porzione del nostro universo — il pianeta Terra — che ospita quel meraviglio­so intreccio di mobilità, autososten­tamento e riproduzio­ne che chiamiamo vita. E anche l’evoluzione del vivente — e non soltanto quella delle strutture del cosmo — ci appare come un romanzo pieno di emozionant­i colpi di scena.

Lo aveva ben intuito Charles Darwin nel corso del «lungo ragionamen­to» che sarebbe sfociato nel suo capolavoro del 1859, L’origine delle specie. Aveva lasciato l’Inghilterr­a per viaggiare sul brigantino Beagle, convinto che le specie animali e vegetali fossero «fisse» e al suo ritorno aveva elaborato la concezione opposta che queste mutassero, seppur in modo graduale, per adattarsi a nuove esigenze ambientali.

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