Corriere della Sera - La Lettura
In principio era la strage Smentita dalla Bibbia
Miti In tutte le principali tradizioni l’origine del mondo è scandita da catastrofi e terribili scontri. Invece la Genesi afferma la bontà del creato e rende gli uomini soggetti attivi della storia. Così il conflitto cosmico si sposta alla fine, nell’Apoc
Il grande storico delle religioni di origine romena Mircea Elia de (1907-1986) pensava che ogni mito, qualunque cosa si intenda con la parola, costituisca in ultima analisi un racconto dell’origine. In questo, il mito non farebbe che corrispondere all’intima tensione della natura umana, sempre alla ricerca di un racconto esemplare da cui discendere. Non è quindi per caso che narrazioni di questo tipo, sull’origine del mondo e ancor più dell’umanità, maschile e femminile, siano presenti in tutte le culture di cui siamo a conoscenza, da quella cinese a quelle dei nativi americani, dal bacino del Mediterraneo all’area andina, come illustrano i saggi inclusi nel volume Il dramma dell’inizio, a cura di Silvano Petrosino (Jaca Book).
Tuttavia, condizionati come siamo dalla nostra ascendenza biblica e cristiana, in cui il racconto iniziale della Genesi è scandito dalle parole secondo cui «Dio vide che era cosa buona» ciò che di volta in volta veniva all’essere grazie alla sua parola creatrice, ci può sfuggire come nelle altre narrazioni, invece, l’origine sia sempre sotto il segno del dramma e del conflitto, della frattura e dello scontro. Questi elementi si riscontrano non solo nel mito primordiale greco, la Teogonia di Esiodo, dove gli dèi si combattono tra padri e figli prima di coalizzarsi per respingere l’assalto dei Titani; o nei poemi babilonesi che, a partire dal XII secolo prima di Cristo, narrano variamente della lotta della divinità suprema Marduk contro il caos originario e quello successivamente prodotto da divinità ribelli, alla fine della quale Marduk squarcia in due il cadavere del capo dei suoi avversari e se ne serve per creare il mondo al centro del quale è posta Babilonia con il suo tempio.
Ma il dramma e la frattura ricompaiono anche nelle narrazioni indoamericane, ad esempio in quella degli Anishinaabe. I miti trasmessi oralmente di queste tribù raccontano di come un Grande Mistero (Manitou) abbia creato il sole e le stelle, la terra e le acque, tutte le creature e gli esseri, visibili e invisibili, che abitano la terra, i mari e i cieli. Questa prima creazione fu spazzata via da un diluvio. Solo i Manitou e gli esseri che vivevano nelle acque furono risparmiati. Tutti gli altri perirono. Nei cieli viveva un altro Manitou, Geezhigo-quae (la Donna del Cielo), rimasta incinta durante il diluvio. Le creature che galleggiavano sulle acque convinsero una tartaruga gigante ad offrire il suo dorso come rifugio per lei, e quindi la invitarono a discendere. Posatasi sulla schiena dell’animale, Geezhigoquae chiese che le portassero della terra. Una dopo l’altra, le creature acquatiche si tuffarono nelle profondità per recuperarne un po’, ma nessuna riuscì a tornare. L’ultimo a scendere fu il topo muschiato, che riportò un piccolo grumo di fango. Fu con quel poco di terra e acqua che Geezhigo-quae creò un’isola e il mondo così come lo conosciamo.
Ancora più truculento il mito andino. All’origine del mondo, Pachacamac, il creatore di ogni cosa, diede forma a un uomo e una donna, ma li abbandonò subito e l’uomo morì di fame. In preda alla disperazione, la donna si mise in cerca di radici per alimentarsi. Udendo i suoi la- menti, il Sole provò compassione e scese sulla terra avvolto da un manto scintillante, fecondandola con i suoi raggi luminosi. Quattro giorni dopo le nacque un figlio. Pachacamac, ingelositosi, appena tramontato il sole uccise il bambino, e seminò per il mondo i suoi resti insanguinati. Da essi nacquero i vari frutti della terra. Di nuovo invocato dalla donna, il Sole ridiscese sulla terra e generò un nuovo, bellissimo figlio, Vichama, che decise di seguire le orme del padre e di viaggiare per il mondo. Al suo ritorno, però, non trovò più la madre, uccisa sempre da Pachacamac, che dai capelli e dalle ossa della donna aveva fatto nascere una nuova, malvagia umanità. Vichama, aiutato dal padre, costrinse Pachacamac a fuggire, sterminò i nuovi arrivati e chiese al sole una nuova creazione. Dal cielo caddero tre uova: una d’oro, che conteneva gli uomini destinati a governare, una d’argento con le donne di eguale valore e infine una di bronzo, con i sudditi di entrambi i sessi.
Pure le narrazioni cinesi sono contrassegnate da una serie di catastrofi che distruggono l’originario equilibrio di yin e
yang, le polarità degli opposti, che aveva caratterizzato una prima creazione. Anche in questo caso le acque dilagano inarrestabili, belve feroci e rapaci sterminano gli uomini. Solo l’intervento di un principe di natura divina può riportare l’ordine, salvare gli esseri umani sopravvissuti e ripristinare l’unione tra lo yin e lo yang in una nuova creazione cosmica.
A ben vedere non mancano anche nella Bibbia tracce della catastrofe originaria, non solo nel racconto del diluvio; nel salmo 74, laddove si dice di Dio «Tu con potenza hai diviso il mare, hai spezzato la testa dei draghi sulle acque. Tu hai frantumato le teste di Leviatàn, lo hai dato in pasto a un branco di belve»; o nel libro di Isaia, al capitolo 54: «Non sei tu che hai fatto a pezzi Raab, che hai trafitto il drago? Non sei tu che hai prosciugato il mare, le acque del grande abisso, e hai fatto delle profondità del mare una strada, perché vi passassero i redenti?».
Nella redazione che conosciamo, formatasi in parallelo e in contatto con le altre tradizioni del Vicino Oriente, la Scrittura ebraica imbocca una diversa strada. La novità segnata dalla Genesi è quella di aver trasformato il multiforme dramma dell’inizio nell’inizio del dramma, con la parola «in principio» e l’affermazione della bontà della condizione originaria. In questo modo, ha reso gli esseri umani soggetti attivi che con la loro scelta mettono in moto la storia, per quanto drammatica possa essere, non più semplici spettatori attoniti e passivi di un destino che si determina altrove. Così, il conflitto cosmico si sposta dall’origine alla fine del mondo, nella visione delle bestie del libro di Daniele nell’Antico Testamento e, soprattutto, dell’Apocalisse nel Nuovo, a cui l’uomo è chiamato a resistere perché possano essere infine restaurate l’originaria bontà e bellezza della creazione.
Non a caso, nei suoi primi tre secoli il cristianesimo dovette sostenere un durissimo scontro con il multiforme movimento gnostico; esso, pur richiamandosi in vario modo a Gesù quale salvatore, misconosceva la bontà della creazione e rigettava il Dio dell’Antico Testamento, e ancora una volta attribuiva ad un conflitto interno e alla realtà divina l’origine del mondo e del male. Solo pochi eletti, che conservano dentro di sé una scintilla dell’originaria condizione divina, potranno accogliere il messaggio della salvezza, non per loro libera scelta, bensì solo in forza della loro condizione di privilegio.
Mesopotamia Nel racconto babilonese il dio Marduk squarcia in due il cadavere del capo dei suoi avversari e lo usa per forgiare l’universo