Corriere della Sera - La Lettura

ACROBATI DEL CIRCO BALLANO IL SAMBA

- Di VALERIA CRIPPA

In principio furono gli statuniten­si Pilobolus, dalla cui costola nacquero i Momix di Moses Pendleton. Poi vennero gli italiani Kataklò, incalzati dai competitor No Gravity e Sonics. E fu così che il physical theatre sposò la danza, la ginnastica, il cirque di matrice canadese. Nei casi migliori fiorirono visioni surreali, sculture di carne in bilico sul sogno, concepite con un occhio alle macchine della scenografi­a barocca («del poeta è il fin la meraviglia»), l’altro agli effetti speciali del Teatro Nero di Praga. Nei casi peggiori, sortì solo intratteni­mento per eventi commercial­i. Fu, comunque, incontenib­ile successo (di botteghino, meno di critica), segno che la magia dell’illusione fisica paga.

Ora anche il Brasile fa sfilare i propri eroi del physical theatre, giocando però il jolly: il samba. Al festival di danza contempora­nea Oriente Occidente di Rovereto (in programma dal 28 agosto all’11 settembre, info:orienteocc­idente.it) è attesa la Companhia de Dança Deborah Colker.

In scena al Teatro Zandonai il 6 settembre presenterà, al debutto europeo, il suo spettacolo VeRo, summa di due show degli esordi, Velox (del 1995) e Rota (di due anni dopo), ovvero l’elogio della velocità seguito da un omaggio alla forza cinetica.

Deborah Colker, scrittrice e coreografa nata a Rio il 28 novembre 1960, un passato da pallavolis­ta, nell’estate 2016 è stata «direttrice dei movimenti» dei seimila volontari della cerimonia d’apertura dell’Olimpiade di Rio de Janeiro. Negli spettacoli fonde le sue esperienze con il colosso Cirque du Soleil e con le scuole di samba per le parate del carnevale. Dai suoi quattordic­i danzatori, la coreografa pretende corpi onnipotent­i in grado di affrontare, con duttilità, differenti stili di danza (in uno spettro che dal classico va al contempora­neo e al latinoamer­icano), l’acrobazia del circo, il virtuosism­o dello sport, scalando una parete di sette metri o volteggian­do su un’enorme ruota.

Non basta. Nei quadri dello spettacolo, Colker mira a trasformar­e il corpo in un «ventriloqu­o strumento di comunicazi­one». Perché la sfida — sempre vagheggiat­a dagli adepti del physical theatre — è riuscire a insufflare l’anima della poesia nel movimento più muscolare.

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