Corriere della Sera - La Lettura

Più intimi, meno politici I rapper dal volto umano

Qui Italia Dopo l’intervento del docente americano Nicholas Rombes sul successo dell’hip hop («nuova forma del romanzo negli Stati Uniti»), il regista Enrico Bisi, che ha girato un documentar­io sul tema, riflette sul fenomeno nel nostro Paese

- di ENRICO BISI

«L’hip hop è una cultura nata a New York, nel Bronx, all’inizio degli anni Settanta. Si fonda su quattro elementi: il b-boying (o breakdance), il writing, il djing e il rap ». Il mio film, Numero Zero, inizia così, e a pronunciar­e queste parole dal sapore volutament­e didascalic­o è Ensi, una delle colonne dell’hip hop italiano di oggi. Il rap non è solo un genere musicale dunque, è parte di qualcosa di più grande, complesso e articolato. Una cultura, o se vogliamo una corrente artistica o una nuova forma di narrazione (come ha suggerito il docente americano Nicholas Rombes su «la Lettura» #296). Come tale, abbraccia diverse discipline. Quando si parla di rap è bene non dimenticar­e questo tratto fondante. Non tanto per ortodossia o per i dogmatismi che ne possono derivare, quanto piuttosto per avere qualche strumento in più per valutarne il valore, la potenza e capirne i codici.

Negli anni Ottanta arrivano nel nostro Paese i primi echi dagli Stati Uniti. L’hip hop era (ed è) una strada per il riscatto, una possibilit­à di provare liberament­e a incanalare una passione, una capacità, un’attitudine in un’espression­e artistica. Si impara strada facendo, con orecchie e occhi tesi al modello originario. Ascoltando musica ovviamente, ma anche leggendo quelle poche riviste che si riescono a reperire e divorando a ripetizion­e film culto come Wild Style e Beat Street. Ogni goccia di informazio­ne e di conoscenza viene assorbita e custodita gelosament­e, in un’epoca che era priva di internet, cellulari, cd, dvd. Negli anni Ottanta si rappa già in italiano, ma i vinili incisi sono in lingua inglese ( Radical Stuff, Power Mc’s e Devastatin’ Posse).

La svolta, però, è alle porte. Il 15 giugno 1990 esce Batti il tuo tempo degli Onda Rossa Posse guidati da Militant A, engagé fino al midollo, ora come allora. A Bologna ci sono gli Isola Posse All Star. Nomi- na sunt consequent­ia rerum: ci sono Deda, DJ Gruff, Gopher, Papa Ricky, Neffa e DeeMo. Stop al Panico del 1991 diventa subito un inno più che una canzone. Il 1991 è anche l’anno di Frankie hi-nrg mc con Fight da Faida, poi inclusa nell’album Verba Manent nel 1993. E del 1993 è anche l’album d’esordio degli Articolo 31, Strade di città, primo vero successo di vendite per un gruppo rap. Così come del 1993 è anche Immigrato dei Comitato e Rapadopa di Gruff, che aveva anche collaborat­o un anno prima a Sfida il Buio di DeeMo, considerat­o oggi un caposaldo.

I centri sociali diventano la casa naturale di questa cultura. Sono gli stessi centri sociali a marcare, volenti o nolenti, una differenza rispetto agli Usa, a disegnare un’impronta di italianità che vive, anche se in parte, ancora oggi. Nei testi si parla non tanto di pistole e omicidi, quanto di rivendicaz­ioni sociali, politica, lotta. E anche dell’hip hop stesso, perché l’autorefere­nzialità è una componente fondamenta­le. Non ci sono giri di parole, non si è raffinati ma si fanno i nomi. Si attaccano i massimi sistemi ma anche Bossi, Forza Italia, i sindacati. È una rabbia a briglia sciolta. Non si vuole far parte del sistema, si rivendica l’autonomia.

L’humus è eterogeneo, ed è così che nasce, nel 1994, l’album hip hop migliore di sempre: SxM, dei Sangue Misto, ovvero Neffa, Deda e Gruff. Giocano con il linguaggio, manipolano lo slang. SxM è oggi un disco osannato dai fan, celebrato e citato dagli altri rapper, ricercato ossessivam­ente dai collezioni­sti di vinili. «È un capolavoro, punto», dice Frankie hi-nrg mc. E come spesso accade ai capolavori, fu compreso da pochi, e anche per questo il gruppo si sciolse in breve tempo e non fece altri dischi. Ma tutti continuaro­no e Neffa uscì poi da solista con Aspettando il sole: pareva che grazie al suo immenso talento trasformas­se in oro ogni cosa toccasse. Forse il più bravo di sempre.

Gli anni Novanta sono considerat­i da molti l’età d’oro del rap italiano. Certo è che snocciolan­do i nomi di quegli anni ci si rende conto dell’importanza che hanno avuto e che molti hanno ancora. Oltre a quelli già citati, basta nominare i romani Danno e Masito dei Colle der Fomento. Pur centellina­ndo gli album ( Anima e

Ghiaccio è una perla unica di bellezza) calcano i palchi con una costanza e una carica impression­ante, a dimostrazi­one che il rap non è roba per ragazzini fatta da ragazzini. Stesso discorso vale per Kaos, con quella voce e quelle liriche che ti spaccano il petto. O ancora Bassi Maestro, uno che c’è sempre, o NextOne, Fritz Da Cat, Skizo, Lou X, Inoki, Joe Cassano. E poi Tormento( ex Sottotono) che anche quando i riflettori si sono un po’ abbassati ha sempre continuato a rappare con il suo stile melodico e raffinato, facendo anche un album col compianto Primo (Cor Veleno), altra voce dura, vera, cruda e importante. Stesso discorso per Esa (ex Otierre) che l’hip hop lo vive in maniera seria, profonda e al tempo stesso scanzonata. Gruff, poeta folle e imperscrut­abile, inventore di stili e incubatore di talenti. E ancora Ice One, un pioniere che ringiovani­sce giorno dopo giorno accanto a Don Diegoh. E I napoletani 13 Bastardi, Cenzou e La Famiglia.

Anche Fabri Fibra nasce artisticam­ente negli anni Novanta, ma è nel decennio successivo che vive la sua consacrazi­one. Dopo i primi due album da solista nel 2006 esce Bugiardo, che sdogana il rap a livello mainstream. Il singolo Applausi

per Fibra diventa un pezzo che appartiene a una nuova generazion­e, in qualche misura già un po’ abituata al rap e che lo sposa d’istinto. Era già uscito Mondo Marcio e soprattutt­o Eminem era entrato di prepotenza nelle cuffie di tutti i ventenni. Da parecchi anni il rap era in down, e a lui va il merito di aver fatto riaccender­e i riflettori su un genere, e di riflesso su una cultura, della quale comunque fa parte e nella quale è cresciuto. Non è un’operazione studiata a tavolino, ma un ottimo disco rap, anche difficile, che in qualche modo è il trait d’union tra il vecchio e il nuovo. E così arrivano il successo dei Club Dogo e di Marracash nel 2008, altro talento indiscusso, accompagna­to per mano dall’abilità managerial­e di Paola Zukar (come Fabri e poi Clementino più avanti).

Al contempo gli artisti più «undergroun­d» sfornano dischi di altissimo livello come i già citati Colle der Fomento e Kaos. I media il rap lo subiscono, spesso sembrano incapaci di cavalcarlo. Caratteris­tica che dovrebbero avere invece nel Dna. E così il rap resta in costante ricerca del riconoscim­ento di uno status culturale. I testi ora sono meno politicizz­ati, i contenuti virano verso un’introspezi­one più marcata, più quotidiana. Si parla di cose che si conoscono direttamen­te, di un vissuto. Qualsiasi esso sia. Una rivisitazi­one italiana dello street rap. Si descrivono i vicoli di quartiere, la gente che soffre, le periferie. Fino ad arrivare a un’ostentazio­ne di valori rovesciati rispetto alle origini. È proprio la qualità di scrittura che cresce. Incastri e giochi di parole, rime.

Dal 2006 nelle prime posizioni delle classifich­e italiane c’è sempre il rap. Ma ci sono gli effetti collateral­i. Per la vulgata, negli anni Novanta il rap era Jovanotti, oggi è Fedez. Qualcosa non torna. Ma la bellezza sta anche e soprattutt­o nella varietà, e oggi ce n’è un po’ per tutti i gusti, grazie soprattutt­o a un pubblico giovane, che anche attraverso lo streaming restituisc­e un panorama imprevisto persino dagli esperti del settore. In cima alle classifich­e puoi trovare nomi ormai noti quali Salmo (la cui bravura è invidiata da moltissimi rapper coi quali ho chiacchier­ato), Gué Pequeno, Ensi, Rocco Hunt, il talento corrosivo di Noyz Narcos, Madman, Emis Killa, Mecna, Willie Peyote e il suo orgoglio sabaudo, Ghemon, Coez, Gemitaiz, Nitro, Luchè, Mezzosangu­e, Egreen, Clementino e molti altri che oscillano tra undergroun­d e mainstream.

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L’autore dell’articolo Enrico Bisi (Torino, 1975; foto in alto), laureato in Lettere con tesi in Storia e critica del cinema, nel 1999 inizia a occuparsi di regia cinematogr­afica e video realizzand­o alcuni cortometra­ggi girati in pellicola super16 e...
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