Corriere della Sera - La Lettura
I panorami? Li inventa un algoritmo
Due ricercatori, responsabili del progetto Creatism di Mountain View, hanno «insegnato» a una macchina a selezionare, ritagliare e rimontare immagini. La qualità dei risultati ha ingannato anche i professionisti
Il progresso tecnologico ha da sempre tolto posti di lavoro, partendo da quelli manuali e più ripetitivi per arrivare al terziario, negli uffici e nelle nostre case. Secondo un recente rapporto dell’istituto McKinsey, il 60% dei posti di lavoro di Wall Street rischia di scomparire proprio a causa delle intelligenze artificiali: nemmeno l’alta finanza, insomma, sembra essere al riparo dalla rivoluzione che verrà. Non è tutto: c’è chi prevede che le macchine del futuro saranno in grado di rendere obsolete anche le professioni creative, da sempre ritenute più al sicuro dalla meccanizzazione. Un recente esperimento sembra confermare questo timore.
Hui Fang e Meng Zhang sono due ricercatori di Google responsabili del progetto Creatism, un algoritmo programmato per creare fotografie di panorami naturali. Per farlo, hanno sfruttato il meccanismo dell’ «apprendimento automatico» ( machine learning in inglese) con cui una mac- china analizza enormi quantità di dati, elaborando e acquisendo nuove capacità. Nel caso di Creatism, che viene definito «un sistema per la creazione di contenuto artistico», l’algoritmo ha avuto accesso a un archivio di 15 mila immagini d’alta qualità provenienti da 500px.com, un sito per fotografi professionisti.
Per prima cosa la macchina ha «imparato» a illuminare e tagliare le fotografie, producendo versioni diverse della stessa immagine cambiando qualche parametro. I ricercatori, in questo passaggio aiutati da quattro fotografi professionisti, hanno selezionato le versioni migliori, permettendo alla tecnologia di apprendere le basi per una buona fotografia. L’algoritmo si perfeziona autonomamente, scrivono Fang e Zhang, «spezzando l’estetica in tanti diversi aspetti, ognuno dei quali può essere acquisito individualmente da un archivio condiviso di esempi professionali».
Il secondo passo è stato quello di attivare Google Street View, il servizio con cui l’azienda ha fil- mato gran parte del mondo, rendendolo esplorabile a 360 gradi. Sulla base delle competenze appena imparate, il programma doveva prelevare alcune scene da Street View, elaborarle, e creare delle immagini nuove di zecca sulla base degli esempi. Infine c’è stato il test di Turing, un processo che ha preso il nome di Alan Turing, storico matematico inglese che immaginò un test per distinguere un messaggio scritto da una macchina da uno scritto da un essere umano. Superare il test di Turing significa aver creato una macchina davvero potente, quasi intelligente.
Ebbene, Creatism è stato testato da sei fotografi professionisti ai quali è stato chiesto di giudicare i suoi lavori con voti dall’uno (foto da principianti non artistica) a quattro (foto di livello alto, professionistico). I fotografi, ovviamente, non sapevano che stavano guardando immagini create al computer, e ci sono cascati. Delle centinaia di foto sottoposte al team di fotografi, il 41% è stato giudicato di «livello semi-professionale» con un voto minimo di 3; il 13% ha ricevuto un voto superiore al 3,5. Un risultato notevole, anche se immagini vere, ovvero scattate da fotografi ad ambienti reali, ricevono un voto medio più alto, con il 45% che ottiene un voto molto alto (dal 3,5 in su).
Nel frattempo l’Art and Artificial Intelligence Laboratory della Rutgers University, nel New Jersey, ha provato un esperimento simile con opere astratte realizzate da un algoritmo. Le immagini sono state proposte a un pubblico all’oscuro di tutto, assieme ad opere dell’espressionismo astratto o provenienti dalla fiera artistica Art Basel 2016. Il risultato? Il pubblico preferiva le prime, che erano state generate — proprio come dalle parti di Google — a partire da un archivio di 80 mila opere d’arte. Forse gli algoritmi non sono già pronti a rubare il lavoro agli artisti in carne e ossa, ma saranno un elemento con cui fare i conti nel futuro — magari con collaborazioni uomo-macchina.