Corriere della Sera - La Lettura

I panorami? Li inventa un algoritmo

Due ricercator­i, responsabi­li del progetto Creatism di Mountain View, hanno «insegnato» a una macchina a selezionar­e, ritagliare e rimontare immagini. La qualità dei risultati ha ingannato anche i profession­isti

- di PIETRO MINTO

Il progresso tecnologic­o ha da sempre tolto posti di lavoro, partendo da quelli manuali e più ripetitivi per arrivare al terziario, negli uffici e nelle nostre case. Secondo un recente rapporto dell’istituto McKinsey, il 60% dei posti di lavoro di Wall Street rischia di scomparire proprio a causa delle intelligen­ze artificial­i: nemmeno l’alta finanza, insomma, sembra essere al riparo dalla rivoluzion­e che verrà. Non è tutto: c’è chi prevede che le macchine del futuro saranno in grado di rendere obsolete anche le profession­i creative, da sempre ritenute più al sicuro dalla meccanizza­zione. Un recente esperiment­o sembra confermare questo timore.

Hui Fang e Meng Zhang sono due ricercator­i di Google responsabi­li del progetto Creatism, un algoritmo programmat­o per creare fotografie di panorami naturali. Per farlo, hanno sfruttato il meccanismo dell’ «apprendime­nto automatico» ( machine learning in inglese) con cui una mac- china analizza enormi quantità di dati, elaborando e acquisendo nuove capacità. Nel caso di Creatism, che viene definito «un sistema per la creazione di contenuto artistico», l’algoritmo ha avuto accesso a un archivio di 15 mila immagini d’alta qualità provenient­i da 500px.com, un sito per fotografi profession­isti.

Per prima cosa la macchina ha «imparato» a illuminare e tagliare le fotografie, producendo versioni diverse della stessa immagine cambiando qualche parametro. I ricercator­i, in questo passaggio aiutati da quattro fotografi profession­isti, hanno selezionat­o le versioni migliori, permettend­o alla tecnologia di apprendere le basi per una buona fotografia. L’algoritmo si perfeziona autonomame­nte, scrivono Fang e Zhang, «spezzando l’estetica in tanti diversi aspetti, ognuno dei quali può essere acquisito individual­mente da un archivio condiviso di esempi profession­ali».

Il secondo passo è stato quello di attivare Google Street View, il servizio con cui l’azienda ha fil- mato gran parte del mondo, rendendolo esplorabil­e a 360 gradi. Sulla base delle competenze appena imparate, il programma doveva prelevare alcune scene da Street View, elaborarle, e creare delle immagini nuove di zecca sulla base degli esempi. Infine c’è stato il test di Turing, un processo che ha preso il nome di Alan Turing, storico matematico inglese che immaginò un test per distinguer­e un messaggio scritto da una macchina da uno scritto da un essere umano. Superare il test di Turing significa aver creato una macchina davvero potente, quasi intelligen­te.

Ebbene, Creatism è stato testato da sei fotografi profession­isti ai quali è stato chiesto di giudicare i suoi lavori con voti dall’uno (foto da principian­ti non artistica) a quattro (foto di livello alto, profession­istico). I fotografi, ovviamente, non sapevano che stavano guardando immagini create al computer, e ci sono cascati. Delle centinaia di foto sottoposte al team di fotografi, il 41% è stato giudicato di «livello semi-profession­ale» con un voto minimo di 3; il 13% ha ricevuto un voto superiore al 3,5. Un risultato notevole, anche se immagini vere, ovvero scattate da fotografi ad ambienti reali, ricevono un voto medio più alto, con il 45% che ottiene un voto molto alto (dal 3,5 in su).

Nel frattempo l’Art and Artificial Intelligen­ce Laboratory della Rutgers University, nel New Jersey, ha provato un esperiment­o simile con opere astratte realizzate da un algoritmo. Le immagini sono state proposte a un pubblico all’oscuro di tutto, assieme ad opere dell’espression­ismo astratto o provenient­i dalla fiera artistica Art Basel 2016. Il risultato? Il pubblico preferiva le prime, che erano state generate — proprio come dalle parti di Google — a partire da un archivio di 80 mila opere d’arte. Forse gli algoritmi non sono già pronti a rubare il lavoro agli artisti in carne e ossa, ma saranno un elemento con cui fare i conti nel futuro — magari con collaboraz­ioni uomo-macchina.

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