Corriere della Sera - La Lettura
È l’alluminio che protegge Leonardo
Il suo colore (un bell’azzurro carico, molto patriottico) doveva far pensare immediatamente all’Italia. D’altra parte, dentro quella valigia c’era uno dei tesori degli Uffizi di Firenze nonché uno dei capolavori di Leonardo da Vinci e uno dei simboli dell’estetica rinascimentale, l’Annunciazione, grande dipinto a olio e tempera su tavola (98 x 217 centimetri) databile tra il 1472 e il 1475. Una «valigia», anzi, tre: due di legno e la terza, quella di mezzo, di uno strano mix di alluminio e nido d’ape. Antonio Addari, amministratore delegato di Arterìa, una delle aziende italiane che si occupano dei trasporti di opere d’arte (di recente si è occupata dei contestati Modigliani di Palazzo Ducale a Genova), quel viaggio a Tokyo, nel marzo 2007, se lo ricorda soprattutto perché «c’era stato persino qualcuno che si era incatenato per evitarlo» (un senatore di Forza Italia), temendo possibili danneggiamenti. Invece, tutto sarebbe filato liscio: «La nostra prima preoccupazione era stata la torsione della tavola di legno che avrebbe potuto far staccare il colore» (un colore ancora giovanile, steso con una pennellata consistente «non ancora sottile come nelle opere della maturità»). Da qui, appunto, la scelta dell’alveolare di alluminio, nome in codice honeycomb.
Non era la prima volta che l’Annunciazione lasciava gli Uffizi: era già stata al Louvre e a Milano, ma il viaggio era allora più lungo e imprevedibile («Dobbiamo sempre pensare gli imprevisti»). Perché «un conto è spostare un’opera d’arte via camion o via terra, sono viaggi più sicuri — spiega Addari —. Via aereo è tutto più complesso, ci sono tanti passaggi; in aeroporto, ad esempio, possono operare solo gli addetti allo scalo».
Così dentro quella maxi valigia di un bell’azzurro brillante (costo all’epoca 4.500 euro) l’Annunciazione aveva abbandonato Firenze (chiusa in un camion, scortata dalla polizia), era arrivata a Roma (in giornata) all’aeroporto di Fiumicino e da lì, con un volo di 12 ore, era atterrata a Tokyo. Tanti gli optional della valigia, cominciando da un’assicurazione da 100 milioni di euro, tutti a carico degli sponsor giapponesi, la tv Nhk e il quotidiano «Asahi Shimbun». Una valigia che avrebbe viaggiato in stiva (con Alitalia), bloccata su una piastra metallica ancorata al pianale dell’aereo. Una valigia da tenere in verticale, i pan- nelli dei tre contenitori divisi l’uno dall’altro da camere d’aria, l’interno della cassa trattato con resine che formavano una pellicola riflettente per non lasciare passare le radiazioni termiche. Una valigia dotata anche di una serie di sensori (made in Japan), in grado di rilevare, in tempo reale, tutte le minime variazioni di temperatura (1-2 gradi al massimo), di umidità e il minimo shock meccanico. Una valigia che celava una sorta di «scatola nera» con tanto di «accelerometro triassiale» per misurare il minimo spostamento della cassa lungo tre assi (evitando appunto torsioni).
E poi, come in ogni viaggio che si rispetti, c’erano stati il riempimento e lo svuotamento del bagaglio. Prima dell’imballaggio, la tavola era stata sottoposta a uno screening completo sia della superficie pittorica, sia del retro (di cui sono stati fotografati le assi e i nodi del legno), sia della cornice di cui era stata fatta una completa mappatura delle abrasioni e dei buchi dei tarli. Infine, dopo un altro viaggio su ruote per le strade (blindate) di Tokyo, L’Annunciazione di Leonardo finalmente sarebbe arrivata al Museo Nazionale e la valigia sarebbe stata aperta (impegnando quindici tecnici per più di un’ora). E solo allora il capolavoro sarebbe stato pronto ad affrontare (in tre mesi, chiusa dentro un’avveniristica teca) l’assalto di quasi un milione di visitatori.