Corriere della Sera - La Lettura
Hasolo una missione: fidatevi di Natalie (e Leila)
Spionaggio e oltre L’americano Daniel Silva, già corrispondente dal Medio Oriente, affida al suo protagonista seriale Gabriel Allon il compito di infiltrare una agente nelle file dell’Isis
Ifatti di cui non vorremmo mai leggere sono dentro un libro che, una volta iniziato, non si può fare a meno di terminare. Vive di questo paradosso La Vedova Nera, spy story tanto aderente alla realtà che stiamo vivendo — l’oggi — e tanto vicina alle cronache di atti terroristici — in particolare gli attentati di Parigi del novembre 2015 e di Bruxelles del marzo 2016 — da richiedere una presa di distanza da parte dell’autore. Daniel Silva mette le mani avanti, difende una materia che è letteraria e tale vorrebbe rimanere. «Le analogie tra i veri attentati e quelli da me descritti, incluso il collegamento con il distretto di Molenbeek a Bruxelles, sono puramente casuali. Non provo il minimo orgoglio ad averli previsti» segnala Silva nella Prefazione al romanzo uscito nel 2016 ma pensato e scritto nei mesi precedenti ai fatti. La Vedova Nera — che esce ora in Italia da HarperCollins, editore che ha pubblicato il precedente La spia inglese e per il quale arriverà anche House of Spies, titolo in questi giorni in vetta alle classifiche americane — appartiene alla serie bestseller con protagonista Gabriel Allon: agente dei servizi segreti israeliani con un passato leggendario e che, in teoria, non dovrebbe avere nessun presente visto che risulta morto durante una missione. Ma un attentato in un centro ebraico di Parigi e un lascito artistico importante, un misterioso quadro di van Gogh, fanno sì che la spia Allon (che è anche un fine restauratore di quadri) torni in azione, con un ruolo questa volta più politico e di coordinamento che operativo.
Al contrario di Allon, Natalie Mizrahi non è una spia ma una dottoressa in servizio a Gerusalemme: spesso si trova a salvare vite che altrettanto spesso non vorrebbero essere salvate («Oggi — dice a un paziente — è il tuo giorno fortunato. Una spanna più in là e saresti morto». «Ma io volevo morire, diventare uno shadid » la risposta del candidato al martirio). Natalie conduce una vita normale, fa il suo lavoro con determinazione e coscienziosità. È (anche) per queste doti che viene scelta per una missione segreta: l’obiettivo è infiltrarsi nella rete terrorista dell’Isis. Dall’interno l’insospettabile spia dovrà fornire informazioni: su membri e prossimi obiettivi; sul cervello dell’organizzazione, un super-cattivo inafferrabile che si fa chiamare Saladino, come il carismatico sultano e condottiero che nel 1187 riconquistò Gerusalemme
cacciando i Crociati che neppure cento anni prima, nel 1099, l’avevano conquistata; da allora e per oltre 7 secoli la città «sarebbe rimasta sotto il controllo musulmano».
Reclutare è un po’ come sedurre: la vede così Allon che convincerà Natalie ad accettare «una missione che nessuna persona sana di mente avrebbe accettato». Per lei sono pronte una nuova identità e una vita temporanea: sarà Leila, una dottoressa palestinese a Parigi, ma anche una donna che si è radicalizzata dopo aver perso il suo compagno di vita e di lotta, ucciso da un nemico (in questo caso la Mukhabarat, l’intelligence giordana): ora Leila è disposta a tutto pur di servire la causa e insieme mettere a segno una sua personale vendetta.
Leila è «una vedova nera», «una bomba a orologeria» e come tale viene avvicinata dall’islam integralista, prima attraverso il web poi, tra mille cautele, con incontri in luoghi pubblici.
Gli step successivi sono l’arruolamento e l’addestramento in Siria (agghiacciante il ritratto della città di Raqqa: «Era un mondo nero, nello spirito e nei colori», «ovunque si vedevano rovine»), con anche il fuoriprogramma di un faccia a faccia con il fantomatico Saladino.
Daniel Silva (1960), scrittore nato in Michigan e cresciuto in California che oggi vive in Florida, costruisce una trama solida sia nelle linee generali, sia nelle dinamiche che sottendono ai rapporti tra enti e apparati degli Stati, sostenuta da una conoscenza delle vicende storiche passate e recenti legate a luoghi e movimenti di cui scrive. Silva ha studiato relazioni internazionali e ha lavorato come corrispondente in Medio Oriente, e si vede. Scrittore scrupoloso nei dettagli delle ambientazioni è spesso in viaggio in cerca di scenari per i libri: luoghi piazze, vicoli, strade di cui parla sono veri (come il Café Milano di Georgetown, frequentato dallo stesso Silva) e verosimili.
Nel romanzo rassicurano le pagine in cui i servizi di intelligence di mezzo mondo (Francia, Gran Bretagna, Giordania e Stati Uniti) sembrano in grado di fare fronte comune alle minacce dei terroristi; inquieta vedere come gli spazi della nostra quotidianità (aeroporti, piazze, alberghi, luoghi di ritrovo...) siano permeabili alla violenza; spaventa che in alcuni personaggi della storia possa essere così sottile il confine «tra islamismo e jihadismo, tra la militanza politica e il terrorismo». Conforta, in conclusione, che a prevalere non siano né il bene né il bene ma la forza immaginifica del racconto, grazie anche a un finale adrenalinico e roboante. Perché, ribadisce Silva nella Nota conclusiva, «questo romanzo si propone di divertire e di intrattenere i lettori», e per farlo prova a «fotografare la Storia mentre è ancora in svolgimento».
Visioni Il volume, scritto prima degli attentati di Parigi del 2015 e di Bruxelles del 2016, li anticipa in modo profetico. L’autore: «Nessun orgoglio»