Corriere della Sera - La Lettura
Grisham ha ragione: abolite il prologo
Da oggi questa rubrica è gemellata con uno dei maestri della narrativa contemporanea, John Grisham (e ovviamente ne va fiera). Cosa è accaduto? Tempo fa, parlando di Sete di Jo Nesbø, ho dato il via a una campagna contro il prologo nei thriller, quella specie di allucinato trailer in slow motion ormai immancabile. Pensavo di essere il solo (come capita sempre più spesso) a detestarlo. Non è così e l’ho scoperto leggendo Il caso Fitzgerald, il nuovo Grisham. Uno dei personaggi è il libraio Bruce Cable che ha letto quattromila volumi e sa di cosa parliamo quando parliamo di romanzi. Bruce, che porta sempre un impeccabile papillon abbinato a completi rigorosamente di cotone seersucker (siamo in Florida e lui è un uomo di mondo), espone le sue idiosincrasie di lettore. Ecco il suo sfogo: «Odio i prologhi. Ho appena finito il romanzo di un autore che passa a presentarlo qui la prossima settimana. Comincia tutti i libri con il classico prologo, qualcosa di drammatico, c’è un killer che pedina una donna, oppure c’è un cadavere; subito lascia il lettore in sospeso e passa al primo capitolo, che naturalmente con il prologo non c’entra nulla, e poi al secondo, che naturalmente non c’entra nulla né con il primo né con il prologo. Poi, dopo trenta pagine, getta di nuovo il lettore in mezzo all’azione del prologo, che a quel punto è stato dimenticato». Non si poteva dire meglio e, non a caso, l’ha detto Grisham. Spero che gli editori prendano nota e dico gli editori, e non gli scrittori, perché sono convinto che siano loro i paladini del prologo a ogni costo. Il prologo non è l’amo al quale i lettori abboccano e restano attaccati per tutta la durate del libro (come pensano gli editori). Il prologo disturba il lettore, gli fa perdere il ritmo, lo confonde. Spero che gli editori diano retta a John Grisham che in materia di appeal letterario ne sa più di tutti. Campagna antiprologo a parte, leggete Il caso Fitzgerald. Ne vale la pena.