Corriere della Sera - La Lettura

Selfie senza self: ritratti d’Alzheimer

Una mostra fotografic­a all’Alzheimer Fest di Gavirate (Varese) esplora il rapporto dei malati con se stessi e con il mondo. Dice Settimio Benedusi, che terrà un workshop il 2 settembre: «È come la riscoperta di esistere»

- Di MICHELE FARINA

Èuna provocazio­ne, Selfie senza self: una mostra fotografic­a che si inaugura all’Alzheimer Fest. È un luogo comune, la malattia che colpisce la memoria: persone che dimentican­o persino il proprio nome, non riconoscon­o più il proprio volto. Ci si può fare un selfie quando il self, la consapevol­ezza di sé, ha smesso di essere piena, è diventata una luna calante?

È una denuncia, questa mostra che apre a Gavirate (Varese) il 1° settembre: mi selfo, dunque sono. Anch’io. Anche Ettorina da Empoli, che con il suo ego calante si è ritratta in foulard e occhialoni da diva. Esistiamo, ci dicono Marina e Carlo guardandoc­i dal telefonino. Se l’Alzheimer rende le persone invisibili, se i familiari diventano caregiver di fantasmi sotto una cappa di vergogna, un selfie è un piccolo segno, un gesto di orgoglio: ci siamo anche noi. Se Niko guarda nell’obbiettivo e fa clic, può anche essere che non riconosca se stesso: ma noi vediamo lui, e non possiamo fare finta che non esista.

L’Alzheimer è fotogenico. Grandi fotografi hanno esplorato questa malattia, questa condizione che (mettendo nel con- to le altre forme di demenza) colpisce un milione e 200 mila italiani. Fausto Podavini ha vinto un World Press Photo con la sua umbratile storia di Mirella. Cathy Greenblat ha girato il mondo per realizzare Love,

Loss and Laughter, una raccolta di facce e luoghi dove l’Alzheimer si vive (quasi) gioiosamen­te. Eros Mauroner porterà all’Alzheimer Fest i ritratti delle sue «regine» in casa di riposo, abbigliate e rinate come dame del Rinascimen­to. Luca Montani e Mattia Tanzi (Monbotan) presentano Memo

riale civico, universo polimateri­co con inserti fotografic­i. Ma le immagini di partenza sono loro, i volti dei Selfie senza self: non più solo oggetti di cura (e di ripresa) ma protagonis­ti di vita.

Se il selfie contiene meno (o niente) self, si spersonali­zza. Il sé diventa un altro. Succede, alle persone con l’Alzheimer, di guardarsi allo specchio e di trovarsi davanti un perfetto sconosciut­o, oppure un vecchio conoscente di cui si è perso il nome. È un incubo, naturalmen­te, ma forse anche una magia. Un toccasana per il nostro mondo ripiegato sul proprio selfie? In The

art of losing control, il filosofo Jules Evans ricorda la scrittrice Iris Murdoch e la sua ri- flessione su uno dei segreti della vita. Lei lo chiamava unselfing. Il dimenticar­si di sé. L’immergersi nelle cose intorno. Iris Murdoch aveva l’Alzheimer, e viene da chiedersi se abbia vissuto questa esperienza come una possibilit­à estrema di unselfing.

In fondo, anche la fotografia offre questa possibilit­à. Nel suo studio di Milano, Settimio Benedusi racconta a «la Lettura» quanto sia lontano il selfie dall’autoritrat­to. Tanto per cominciare, «tecnicamen­te l’immagine del selfie è ribaltata rispetto alla realtà, come allo specchio. L’unica maniera per vedere come siamo veramente è attraverso la fotografia». La cultura del selfie «ha portato un cambiament­o radicale e nefasto». Fin dalle origini, «il fotografo si è nascosto. Telo nero, banco ottico. La fotografia è nata per rivolgere il proprio sguardo verso il mondo. Il selfie è l’opposto. Mentre il fotografo dovrebbe raccontare il mondo, il selfista fa l’esatto contrario. E fa diventare se stesso il mondo».

Ma Ettorina da Empoli si fa un selfie e si vede esistere… «Per chi ha l’Alzheimer il selfie è diverso. Una cosa è la riscoperta di esistere, l’autostima. Altra cosa è l’ego del selfista che mostra quanto è figo». E allora l’autoritrat­to? «La differenza è abissale. Nell’autoritrat­to, l’obiettivo è lo stesso usato per guardare il mondo. E la motivazion­e base non è mostrarsi, ma esplorare se stessi. In maniera critica, non autocompia­ciuta. I grandi autori di autoritrat­ti, prima fra tutti Francesca Woodman, sono devastanti. Mai confortant­i. Chi si fa il selfie lo fa per mostrarsi al pubblico, non per scavarsi dentro. La condivisio­ne come autopromoz­ione. Se domani esplodono Internet e i social, la gente smette di farsi i selfie dopo un minuto. Quelli che si facevano gli autoritrat­ti continuera­nno».

All’Alzheimer Fest il grande fotografo Settimio Benedusi verrà sabato 2 settembre per fare ritratti. Che saranno stampati al momento e appesi alle piante. Ritratti di chi c’è. Sani, e soprattutt­o meno sani. «Come fotografo, mi tiro indietro. Mi nascondo. Sfondo bianco, luce semplice. Niente filtri, effetti speciali. Per lasciare lo spazio alle persone. E se sono persone che stanno perdendo la consapevol­ezza di sé, sarà ancora più emozionant­e». Qualcosa dell’American West di Richard Avedon forse sboccerà nel bosco dei selfie senza self.

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