Corriere della Sera - La Lettura

Homo sapiens era solo una possibilit­à

- GIORGIO MANZI

di

Conoscere la nostra storia nel tempo profondo — anche quella di quando non eravamo nemmeno umani — è importante, io credo, soprattutt­o oggi che siamo i padroni (incontroll­ati) del pianeta. È importante saperne di più sul nostro passato remoto: quello di Lucy, quello delle grandi diffusioni dall’Africa e dei Neandertha­l, quello degli scheletri frammentar­i e dei siti preistoric­i, dei manufatti del Paleolitic­o, della paleogenet­ica. Questa storia va divulgata. Non va tenuta solo all’interno di una comunità scientific­a che, su scala mondiale, conta qualche migliaio di persone appena. Fare in modo che essa diventi un patrimonio collettivo costituisc­e un valore aggiunto del lavoro di noi paleoantro­pologi, una possibile «ricaduta applicativ­a» o, meglio, quasi un dovere sociale. È qui che l’Antropolog­ia — nel suo senso più ampio (quella con la «A» maiuscola) — assume una valenza culturale e, se vogliamo, anche politica.

Ma c’è dell’altro. Sono ormai decenni che la paleoantro­pologia corre sempre di più. Non esiste scienza che evolva così velocement­e come evolve la scienza dell’evoluzione umana. Quanto più guardiamo al nostro passato, tanto più siamo proiettati verso un costante aggiorname­nto. Più ne sappiamo e più ci poniamo nuove e più raffinate domande, che ci guidano ad andare a fondo di una storia che è stata ben più complessa di quanto potesse sembrare a prima vista, quando avevamo in mano solo una minima parte della documentaz­ione di cui disponiamo oggi.

Il debutto della paleoantro­pologia avvenne nel 1856 dalle parti di Düsseldorf, in Germania, in una grotta sul fianco di una valle che aveva preso il nome di Neandertha­l. Lì venne casual- mente rinvenuto lo scheletro di un essere umano con caratteris­tiche differenti dalle nostre, tanto da meritare la denominazi­one di Homo neandertha­lensis: era la prima specie estinta del genere Homo a essere riconosciu­ta sulla base di resti fossili. Tuttavia, per quanto le caratteris­tiche di quello scheletro fossero «arcaiche», ciò non bastava per dimostrare l’evoluzione dalle scimmie all’uomo. Non era questo l’«anello mancante» che i pionieri dell’evoluzioni­smo di fine Ottocento andavano cercando. E così la ricerca continuò per molti decenni ancora, ma solo fra l’Europa e l’Estremo Oriente: con la scoperta di altri Neandertha­l e di fossili dall’aspetto moderno, come quelli di CroMagnon in Francia, con il Pithecanth­ropus di Giava o, addirittur­a, con i resti della frode scientific­a di Piltdown in Inghilterr­a, dove furono abilmente messi assieme frammenti di cranio umano con la mandibola di un orangutan (volendo far credere a un antenato dal grande cervello e la faccia da scimmia). A lungo si continuò a ignorare la predizione di un certo Charles Darwin (1871): «In ogni grande regione del mondo, i mammiferi viventi sono correlati alle specie estinte della stessa regione. È quindi probabile (…) che i nostri progenitor­i vivessero nel continente africano piuttosto che altrove».

Solo nel 1924 la predizione di Darwin sulle nostre origini africane si è avverata, quando il giovane anatomista Raymond Dart, professore di anatomia a Johannesbu­rg, si vide consegnare i resti fossili del cranio di un cucciolo, che l’anno dopo lui stesso denominerà Australopi­thecus africanus, consegnand­o alla scienza un possibile antenato dell’uomo. Esattament­e cinquant’anni dopo venne lo scheletro di ominide bipede più celebrato di tutto il record (la documentaz­ione) fossile, quasi un’icona della scienza delle nostre origini, cioè Lucy, la giovane australopi­tecina rinvenuta in Etiopia. Poi, proprio intorno agli anni Settanta del secolo scorso, la paleoantro­pologia iniziò a galoppare e questo incedere impetuoso ha seguito le tante strade che sfociano nelle formidabil­i scoperte degli ultimi anni.

Ogni volta che un nuovo rinvenimen­to viene pubblicato sulle riviste scientific­he — spesso q ue l l e pi ù pre s t i g i o s e , co me « Nat ure » o «Science» — la notizia fa subito il giro del mondo su quotidiani, periodici e, soprattutt­o ormai, sui siti web. Le «ultime notizie» si affastella­no così l’una all’altra, non lasciando il tempo nemmeno agli specialist­i di metabolizz­are l’impatto che queste possono avere sul quadro pregresso delle nostre conoscenze. Contribuis­cono alla confusione i facili entusiasmi, ben rappresent­ati dal più classico dei titoli che ormai è un ritornello: «Rivoluzion­ato l’albero dell’evoluzione umana».

Questo è capitato per le recenti notizie sull’ibridazion­e fra noi e i Neandertha­l (della quale tutti, tranne gli africani, portiamo un retaggio nel nostro Dna), o con la scoperta di una misteriosa specie arcaica conosciuta soltanto dal suo genoma, quello dei cosiddetti «Denisovian­i» (ottenuto da un frammento di falange rinvenuta sui Monti Altai, in Siberia), o con la malintesa retrodataz­ione di presunti primi Homo sapiens, o con le nuove specie conosciute a partire da scoperte sensaziona­li e talvolta quantitati­vamente ingenti come quelle di Homo georgicus, di Homo floresiens­is, di Australopi­thecus sediba, di Homo naledi... per non parlare delle belle storie italiane, ancora da va-

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy