Corriere della Sera - La Lettura
Perfino i vegetali sono pazzi per il sesso
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Partiamo dai semi. Hanno trovato qualsiasi espediente pur di farsi trasportare. Utilizzano ali, vele, eliche, paracadute, uncini per attaccarsi al pelo degli animali, corazze per farsi ingoiare dagli uccelli (e un tempo dai dinosauri) senza essere digeriti, veleni come cianuro e ricina per non esser mangiati insieme al frutto, spine difensive, barbe e spighe per ancorarsi e infilarsi nel terreno. Le loro capacità aerodinamiche ispirarono i primi aviatori. Quelli delle felci sono microscopici come particelle di pulviscolo, quelli delle palme grandi come palloni da basket. Galleggiando sul mare o nel vento possono percorrere migliaia di chilometri. I semi sono i maestri naturali della dispersione, tanto da essere spesso parassitati da funghi e altri approfittatori che li usano per diffondersi.
Filosoficamente parlando, il seme è l’emblema della potenzialità: una promessa ancora inespressa, silenziosa e invisibile, ma possente. Suo padre è il polline, il letto nuziale il fiore. Può viaggiare anche nel tempo, entrando in stato di quiescenza per anni, decenni, a volte secoli. George Bernard Shaw scrisse della «terribile energia concentrata in una ghianda». Un mucchio di semi che germinano anzitempo può sfasciare una nave o sfondare un silos.
Da un minuscolo seme, grazie ai geni dello sviluppo che fanno da direttori d’orchestra, scaturiscono esseri viventi stupefacenti. L’organismo più voluminoso attualmente vivente sul pianeta Terra è una sequoia gigante californiana della specie Sequoiadendron giganteum, battezzata «generale Sherman» nel 1879 in onore del generale unionista della guerra di Secessione americana William Tecu- mseh Sherman. Pesa come sei Boeing 747-400 ed è alta 84 metri. Si calcola che sia nata tra l’VIII e il IV secolo a.C. da un singolo seme: di sei milligrammi.
Quel seme è sopravvissuto a molti pericoli prima di diventare un gigante di 2500 anni. Qualcuno per esempio avrebbe potuto mangiarselo. Del contenuto di ghiande, chicchi, noci, frutti e bacche si saziano da sempre gli animali. Cibandosi della confezione colorata e polposa che circonda i semi, insetti, uccelli e mammiferi frugivori (lo erano anche i nostri antenati ominidi) inconsapevolmente stanno trasferendo il prezioso contenuto che interessa alla pianta. Lo scambio è quasi sempre equo. Come spiega brillantemente il biologo dell’Università di Edimburgo Jonathan Silvertown nel libro La vita segreta dei semi (Bollati Boringhieri), questi concentrati di energia sotto forma di amido e grassi ci nutrono, ci regalano burro di cacao, grassi e oli vegetali per ogni uso, birra e caffè, farine e popcorn. Tutto dai semi. Insaporiscono i nostri piatti, idratano e proteggono la nostra pelle, ma soprattutto — se le cose vanno per il verso giusto dal loro punto di vista — germinano e si trasformano in piante che permettono la nostra esistenza dandoci cibo, farmaci, veleni, profumi, droghe, fibre e materiali che impregnano ogni aspetto della nostra vita quotidiana.
Ma perché in piante come la sequoia si sono evoluti i semi? Domanda difficile, che si lega a un’altra, più generale e altrettanto difficile: perché esiste il sesso? Nelle piante di norma il polline maschile feconda ovuli femminili, dando origine all’embrione vegetale protetto dal seme. Ma il sesso è pericoloso, perché qualcosa può sempre andare storto, e costoso, visto che ogni genitore rinuncia a trasmettere metà dei suoi geni. Eppure, dà un vantaggio impagabile: permette lo scambio di geni, di modo che la prole sia costituita da individui tutti diversi tra di loro e in parte diversi anche da padre e madre. Questa costante produzione di diversità genetica è un eccellente antidoto contro le malattie, poiché in una schiera di figli tutti differenti è più probabile che almeno qualcuno sia resistente a un agente patogeno. In una popolazione composta soltanto da cloni, al contrario, un parassita che dovesse colpirne uno finirebbe per far ammalare tutti. In pratica, il sesso è un generatore di diversità e la diversità è un’assicurazione sul futuro, il combustibile dell’evoluzione.
Grazie al sesso, quindi, ogni seme di sequoia è geneticamente diverso da ogni altro. Ecco perché tutto sommato vale la pena di affrontare le scomodità di avere due sessi. Questo processo è particolarmente evidente proprio nelle piante, poiché a differenza degli animali quasi tutte possiedono entrambi i mezzi riproduttivi, quelli sessuati e quelli asessuati (tramite polloni, talee o altri mezzi vegetativi). Eppure il sesso (e quindi semi e frutti) persiste nelle piante e non viene soppiantato dai più economici mezzi asessuati. Così grazie alle piante abbiamo forse capito come si è evoluto il sesso. Il ragionamento è presto detto: non sempre i sessi delle piante interagiscono, con mescolamento dei geni; esistono infatti semi non fecondati. La maggior parte delle piante poi sono ermafrodite (hanno nello stesso individuo gli organi maschili e femminili) e alcune possono auto-impollinarsi, anche se l’autofecondazione, come Darwin aveva intui-