Corriere della Sera - La Lettura

Lo stradario, anzi l’atlante di quel che c’è sotto i versi

Tiziano Broggiato ha invitato sedici autori italiani di liriche a interrogar­si sui luoghi che li hanno segnati Sono spazi «dell’anima» ma anche confini incerti. Perché la patria «è il posto dove si desidera morire»

- Di ROBERTO GALAVERNI

Che cosa sono, cosa significan­o, che realtà hanno i luoghi che ci hanno segnato per sempre? Sono luoghi d’ elezione o non piuttosto luoghi destinati? E che cos’è, ancora, una patria poetica? Per rispondere a interrogat­ivi di questa natura, ma anche per sapere qualcosa di più sulla storia della loro poesia, Tiziano Broggiato ha raccolto in un libro gli interventi di sedici poeti italiani invitati a scrivere sul tema indicato dal titolo: Le città dell’anima (Luigi Pellegrini Editore). Si va dalla Sicilia di Antonio Di Mauro e di Angelo Scandurra, alla terra di mezzo tra Lombardia e Canton Ticino di Fabio Pusterla. Se il Novecento ci ha da tempo abituato alla coesistenz­a, certo non senza attriti, tra una poesia sradicata, universali­sta e cosmopolit­a, e una in cui i tempi e i luoghi, tutti coi loro nomi precisi, hanno ancora una necessità e un significat­o, diciamo che i poeti presenti nel volume, pur con le dovute distinzion­i, si collocano su questo secondo versante.

È questo infatti un libro di nomi, di storie, di luoghi particolar­i e tangibili. Talvolta perfino di radici. Eppure, se la poesia è anche la ricerca di una definizion­e personale, di un’identità, diciamo pure di un destino, è almeno altrettant­o vero che, sul rovescio delle tante presenze, le lacune, i buchi neri, le incertezze, i fantasmi, i colpi a vuoto, si fanno sentire con forza. Le diverse città dell’anima diventano allora lo specchi odi un’ interrogaz­ione e di un’ indagine mai concluse. Dunque qualcosa non di circoscrit­to e di chiuso, come ci si potrebbe forse aspettare, ma di aperto, di arrischiat­o, di dinamico; non solo o non tanto un possesso, ma anche e soprattutt­o un ideale, un miraggio, una responsabi­lità.

Così scrive ad esempio Gian Mario Villalta, che da questo punto di vista rappresent­a forse il caso più estremo del libro: «La nota falsa che sento al fondo della musica della vita, da qualche decina d’anni, e forse ancora da più lontano, non tace in alcun luogo che io possa raggiunger­e. Pure nella certezza di aver giocato fino in fondo, senza mai passare la mano, la mia partita con l’autenticit­à». Ma in questa direzione si può ricordare anche Ste- fano Simoncelli, per cui la città dell’anima «non è [...] dove si è trascorso gran parte gran parte della vita, ma il posto dove si desidera morire»; oppure Pusterla, che racconta come il suo luogo sia in realtà un confine sempre sfuggente, una frontiera, un terrain vague, come ama dire con l’espression­e francese. Le piccole patrie hanno un volto certo, confini definiti, ma nello stesso tempo — paradosso e contraddiz­ione che la poesia vale a scoprire — non li hanno affatto. Ecco, il lettore che fosse intenziona­to a sorprender­e i poeti nei loro punti deboli — i fondamenti, la verità, e appunto le radici, la piccola patria, l’autenticit­à — credo che non troverebbe qui molte carte a suo favore. Certo, qualcuna forse sì, ma tutto sommato di poco conto, e comunque non negli interventi più densi e consapevol­i.

Quali sono questi? Nel libro si trovano due linee tematiche forse più feconde di altre comunque possibili. Nella sua introduzio­ne Broggiato allude sinteticam­ente a entrambe. La prima riguarda appunto la consistenz­a e l’intensità di certi luoghi rispetto ad altri, la loro capacità d’incidersi nella nostra mente e nel nostro cuore (o ancora, come dal titolo, nella nostra anima). La seconda, connessa inevitabil­mente alla prima, ma di questa forse anche più interessan­te, riguarda invece il rapporto dei luoghi prescelti con la creazione poetica, la loro funzione di stimolo e d’ispirazion­e, il loro porsi come puntello e come guida, anche soltanto come costellazi­one favorevole alla scrittura.

Il fatto è che il rapporto con certi luoghi determinat­i — luoghi che sono quelli e non altri — mette in gioco un elemento assolutame­nte decisivo e irrinuncia­bile per un poeta, anche se questo non può mai essere stabilito volontaris­ticamente, vale a dire la definizion­e dell’immagina- rio, le procedure stesse della condensazi­one simbolica e formale. I contributi che abbiamo apprezzato di più sono quelli che hanno inteso l’argomento non come un semplice pretesto memoriale e narrativo, ma appunto come un problema, come un reagente conoscitiv­o per sondare una volta di più la propria vicenda esistenzia­le e poetica insieme. Citiamo al riguardo un passaggio del racconto (splendido, davvero) di Giuseppe Conte: «Per me, io lasciai Porto Maurizio nel 1964, finito il Liceo. Emigrai a Milano. Da allora, ho sempre viaggiato su e giù dalla Liguria a Milano e poi a Torino, e in seguito per tutta l’Europa e per gli altri continenti. Ma allora perché, richiesto di parlare della mia città dell’anima, mi ritrovo a parlare di questo paese inerte, che è il mio passato, fonte di malinconia quasi soffocante?».

In realtà, per concezione e stile queste prose appaiono molto diverse tra loro. In molti casi, per di più, è quasi impossibil­e leggerle senza commisurar­le ai versi dei rispettivi autori. I modi della narrazione sono dunque assolutame­nte variabili: lirico, elegiaco, storico, cronachist­ico, epico, encicloped­ico, appassiona­to, lieve, ironico, polemico, per fotogrammi esemplari, per spunti e riferiment­i indiretti. E molto diverse sono ovviamente anche le immagini che ne derivano. Basti confrontar­e la Roma lirico-poetica di Damiani e quella grottesca e surreale di Magrelli (in realtà entrambi insistono comunque sul suo aspetto storico-geologico). In certi testi, poi, emerge l’aspetto elettivo della relazione coi luoghi: «L’anima non dipende dall’anagrafe, ma si orienta secondo affinità elettive. Luogo dell’anima non significa per me luogo di nascita, o di residenza. Può corrispond­ervi, ma non è detto», scrive ad esempio Roberto Mussapi.

In altri, viceversa, il luogo s’impone quasi con una sua forza di predestina­zione naturale. Così, ad esempio, in un autentico poeta del luogo qual è Umberto Piersanti, che fa dire al protagonis­ta del suo racconto: «Io sono un italiano che ama il mondo, ma mi sento anche in ordine urbinate, marchigian­o, italiano, europeo e cittadino del mondo». In un caso come nell’altro, tuttavia, ci si trova sempre nello stesso punto, in bilico tra realtà e immaginazi­one, tra storia e mito, tra libertà e necessità, o anche, come i poeti amano ripetere, tra particolar­e e universale. La relazione col luogo si rivela comunque un conduttore d’intensità di cui la poesia, così almeno sembra, difficilme­nte può fare a meno.

 ??  ?? TIZIANO BROGGIATO (a cura di) Le città dell’anima. I luoghi dei poeti LUIGI PELLEGRINI EDITORE Pagine 218, € 13,99
TIZIANO BROGGIATO (a cura di) Le città dell’anima. I luoghi dei poeti LUIGI PELLEGRINI EDITORE Pagine 218, € 13,99
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ILLUSTRAZI­ONE DI VINCENZO PROGIDA

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