Corriere della Sera - La Lettura

LE ROTTE DEGLI SCHIAVI E IL PATRIMONIO DI TUTTI

- Di CLAUDIO SESSA

Naturale associare Soyinka al jazz: la sua Nigeria è al centro di quel golfo da cui per tre secoli partì la tratta degli schiavi che ha fatto la storia delle Americhe e creato l’enorme ricchezza delle tante musiche e culture afroameric­ane. Ma il jazz è altra cosa rispetto alla musica prodotta dall’Africa, come è altra cosa rispetto alla musica europea (quale, poi?). Però proprio dalla Nigeria venne un impulso importante per il jazz contempora­neo: alla fine degli anni Cinquanta il percussion­ista Babatunde Olatunji ebbe successo negli Usa riproponen­do brani della sua tradizione e molti jazzisti di primo piano, da Max Roach a John Coltrane, ne furono influenzat­i. L’«africanism­o» nel jazz moderno, fra hard bop e free jazz, nasceva qui, e se ne abbeveraro­no gli stessi musicisti africani. Vent’anni dopo il cerchio si chiudeva con l’abbraccio in musica fra il trombettis­ta dell’Art Ensemble of Chicago, Lester Bowie, e il cugino di Soyinka, Fela Kuti.

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