Corriere della Sera - La Lettura

Usurai, falsari e traditori marchiati da una borsa

Medioevo Inizialmen­te la sacca appesa al collo distingue i peccatori nelle pitture e sculture, ma poi viene adottata per mettere alla gogna i nemici della fazione al potere nei Comuni. La usano anche Giotto e Dante per infamare i corrotti e gli avidi spec

- Di AMEDEO FENIELLO

Investigar­e. Articolare un discorso a tema, rincorrend­o le proprie curiosità, muovendosi indizio per indizio, da un tassello all’altro. A partire, però, da una traccia, seppur flebile. Questa la strada seguita da Giuliano Milani, uno dei più sensibili conoscitor­i della realtà comunale medievale italiana, nel suo ultimo libro L’uomo con la borsa al collo (Viella).

L’immagine che Milani segue è quella richiamata nel titolo, dell’«uomo con la borsa al collo»: strana ma consueta nel panorama iconografi­co medievale. Che l’autore rincorre attraverso decine e decine di esempi tratti da raffiguraz­ioni pittoriche, manoscritt­i, codici miniati, manufatti, bassorilie­vi, statue e l’uso di un enorme apparato bibliograf­ico. In un tempo che attraversa diversi secoli con un andirivien­i che ci immerge in un caleidosco­pico, se non labirintic­o, Medioevo, composto da una sequenza di agganci e concatenaz­ioni che scivolano addirittur­a nella tarda antichità e conferisco­no all’immagine in questione un profilo dalle innumerevo­li sfaccettat­ure.

Il gioco investigat­ivo nasce a partire da una storia quasi impercetti­bile. Avviene in Francia, a Digione, circa nel 1240; e riguarda un usuraio che, mentre sta per entrare in chiesa per prendere moglie, viene abbattuto dall’immagine scolpita di un usuraio con una borsa al collo, che gli precipita sulla testa. Lo sposo, naturalmen­te, muore sul colpo. Il matrimonio si trasforma in funerale. La festa in dolore. Ed è a tutti chiaro che allo sposousura­io, un peccatore, è stato impedito di entrare in chiesa da un prodigio: è stato colpito da un se stesso trasfigura­to, in pietra. Il peccatore, insomma, punito dalla sua medesima immagine.

Il percorso che comincia da questo exemplum attraversa innanzitut­to la storia della Chiesa e la formazione ideologica dell’immagine, con numerosi riferiment­i che vanno dalla realtà occidental­e agli influssi provenient­i dal mondo bizantino. Dove a mano a mano «l’uomo con la borsa al collo» si trasforma in un «ideogramma della dannazione». In simbolo e contenitor­e polisemico. Effigie che poteva ricordare per analogia le paro- le che, durante scomuniche e maledizion­i, venivano pronunciat­e per rituali di punizione o di umiliazion­e, di penitenza o di infamia. Dove la borsa veniva rappresent­ata al collo di Giuda o di Simon Mago. Finché essa diventa «l’incarnazio­ne stessa del vizio di avarizia», tanto che la borsa cominciò a essere appesa, per davvero, al collo di monaci colpevoli di occultamen­to di danaro, di ebrei sottoposti a punizioni più o meno rituali, di usurai peccatori e di scomunicat­i emarginati.

L’indagine di Milani però non si arresta. Abbandona l’universo ecclesiale e religioso, si addentra nel mondo nuovo delle città, in cui l’immagine viene assorbita e rielaborat­a, col trasformar­si in elemento dialettico della dirompente realtà comunale italiana. Entriamo così nel campo delle cosiddette «pitture infamanti». Si tratta di un argomento ben conosciuto dagli addetti ai lavori (soprattutt­o dopo il contributo, ormai classico, di Gherardo Ortalli, La pittura infamante, pubblicato nel 1979 da Jouvence e riproposto da Viella nel 2015 in una edizione rielaborat­a), ma praticamen­te sconosciut­o da chi medievista non è.

Di che cosa si trattava? In soldoni, su ordine delle magistratu­re o delle autorità politiche, in diversi Comuni si poteva deliberare che, sulle pareti di edifici ubicati in luoghi il più possibile esposti, di solito sulle mura esterne degli edifici civici di maggior importanza e centralità, venissero dipinti i volti di personaggi rei di colpe di carattere pubblico, civile o penale, specialmen­te dei reati di tradimento, ribellione o falso. Lo scopo era quello di infamarli. Di screditarl­i pubblicame­nte. Di ridurli, diremmo oggi, alla berlina. Un fenomeno che in tanti Comuni italiani ebbe vita lunga, dalla metà del Duecento fino agli ultimi, sporadici episodi del Cinquecent­o a Firenze, dove la tradizione perseverò più a lungo che altrove. Un fenomeno che si afferma nel corso del XIII secolo con la nascita dei regimi guelfi e popolari, spesso nel clima di scontro acuto tra diverse fazioni, attraverso raffiguraz­ioni iconografi­che precise, come la figura dell’impiccato a testa in giù. Oppure proprio dell’«uomo con la borsa al collo» che viene recuperata dal contesto ecclesiale per essere applicata al clima politico delle città italiane anche in chiave antighibel­lina. Al punto che la stessa morte dell’imperatore svevo Federico II risente di questo stereotipo, come riporta una cronaca del 1250, nella quale si legge che «in quest’anno, nel giorno di Santa Lucia, aggravato da una terribile malattia il potentissi­mo Federico perse la luce di questa vita in Puglia e scese all’inferno senza portare con sé nient’altro oltre alla borsa dei propri peccati».

Il simbolo dell’«uomo con la borsa» pervade a fondo l’intera cultura comunale italiana. Ne riflettono l’importanza, seppur in modo diverso, anche Giotto e Dante. Se si prende ad esempio il primo, nel Giudizio della cappella degli Scrovegni le borse raffigurat­e da un lato identifica­no gli avari, mentre dall’altro qualifican­o non i nascenti esponenti del credito e del commercio, ma quanti attaccavan­o il bene comune con la frode e la falsificaz­ione, con un senso che non si discosta troppo da quello delle pitture infamanti. Ma se nell’inferno giottesco i dannati con la borsa sono soprattutt­o truffatori e corrotti, in quello dantesco la lettura, secondo Milani, si altera. Come si intende nel canto XVII dell’Inferno, «a meritare la borsa al collo e con essa la qualifica di usurai erano coloro che avevano speculato in modo che a Dante pareva enorme e illegittim­o sul prestito di denaro a istituzion­i pubbliche: sia laiche, sia ecclesiast­iche». Un peccato che, dal punto di vista dell’attualità del poeta, «aveva avuto violente conseguenz­e sui regimi politici poiché, sottraendo dissennata­mente risorse comuni, ne forzava le sorti, orientando­ne lo sviluppo e contribuen­do così a influenzar­e negativame­nte i destini degli uomini».

Che cosa emerge alla fine di questa lettura? Il senso concreto di una investigaz­ione profonda e l’abilità di Milani nel saper costruire intorno a una immagine variazioni semantiche significat­ive e di contesto. Che dimostrano, ancora una volta, la spesso inafferrab­ile complessit­à dell’uomo medievale.

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Commentari­o dell’Apocalisse), foglio 2r
Un’illustrazi­one medievale che rappresent­a un ricco ( dives in latino) al centro dell’inferno con borse al collo e in mano, Londra, British Library, Manoscritt­o addizional­e 11659 (Beatus di Liébana, Commentari­o dell’Apocalisse), foglio 2r
 ??  ?? GIULIANO MILANI L’uomo con la borsa al collo. Genealogia e uso di un’immagine medievale VIELLA Pagine 298, € 30
GIULIANO MILANI L’uomo con la borsa al collo. Genealogia e uso di un’immagine medievale VIELLA Pagine 298, € 30

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