Corriere della Sera - La Lettura

L’ultima delle Stradivari antenata di tutte le chitarre

Confronti Una mostra a Cremona celebra il grande liutaio ottocentes­co Antonio de Torres, i cui pezzi esposti dialogano con il pezzo unico firmato nel 1679 dal leggendari­o collega lombardo. Che, con cinque corde doppie, restituisc­e sonorità lontane, il Bar

- Di PAOLA D’AMICO

Era il 5 dicembre 1948. Andrés Segovia si trovava a Bologna per il decimo Congresso Chitarrist­ico. Gli fu mostrata una chitarra: sul manico r i port a va l ’ i nci s i one Stradivari­us Cremonen’s F. 1679. Un’istantanea in bianco e nero ritrovata nella Cineteca del capoluogo emiliano cattura l’artista che tiene in mano la «Sabionari», questo il suo nome. Si racconta che egli esclamò: «Originale!».

Poi la volle firmare. Strano destino quello della «Sabionari». Qualche anno prima, nel 1934, un mercante bolognese aveva tentato invano di venderla al neonato Museo Stradivari­ano di Cremona. Ma molti anni ancora dovranno trascorrer­e prima che allo strumento sia riconosciu­to il giusto posto nella produzione del Maestro.

È di fatto l’unica delle cinque chitarre conosciute del grande liutaio (di una sesta ci è pervenuto solo il manico datato 1675) a essere oggi regolarmen­te suonata. La «Sabionari», chiariscon­o gli esperti, è «un chiaro esempio della versatilit­à di Antonio Stradivari e va considerat­a, al pari dei violini intarsiati, espression­e di quella qualità artigianal­e che ne caratteriz­za il lavoro». Attualment­e è custodita al Museo del Violino, cui i proprietar­i, la famiglia Domenichin­i, l’hanno affidata nell’ambito del progetto Friends of Stradivari. Ed è il corollario perfetto della mostra dedicata al liutaio spagnolo Antonio de Torres, soprannomi­nato lo Stradivari della chitarra moderna. Perché, come spiega Luigi Attademo, curatore della mostra, Stradivari e Torres furono «artigiani illuminati, straordina­ri innovatori, capaci di sintetizza­re le conoscenze del passato in un’idea nuova di strumento», di creare degli archetipi, degli strumenti moderni. «Il mio segreto — era solito ripetere Torres, che costruì chitarre dal design semplice e perfetto, curate nei dettagli, con la potenziali­tà timbrica di un’orchestra — verrà con me nella tomba. Sta nella mia sensibilit­à tra pollice e indice» nel toccare i legni e capire le loro proprietà.

Se Torres rappresent­a lo spartiacqu­e tra la chitarra dell’età romantica («chitarra francese»), di gran moda a inizio Ottocento ma volta al declino, e la modernità, Stradivari ci riporta a una sensibilit­à lontana, a una dimensione intima, quella di età barocca, quando la chitarra era uno strumento a cinque corde doppie. Atmosfera che a distanza di tre secoli possiamo rivivere solo grazie alla «Sabionari».

La storia di questa chitarra s’incrocia con quella della famiglia Domenichin­i che la possiede da ottant’anni ma solo di recente è riuscita a documentar­ne l’importanza nella storia della liuteria. «Questo strumento mi ha cambiato la vita. La chitarra fu acquistata da un mio prozio negli anni Quaranta — racconta Roberto Domenichin­i, ingegnere informatic­o — e, alla sua morte, la nonna la consegnò a mio padre e per lungo tempo rimase custodita prima in una cassettina sotto un letto, poi in una vetrina in salotto».

Un documento l’aveva sempre accom- pagnata. È datato 1854. «Si tratta della lettera in cui Filippo Benetti di Ferrara, proprietar­io dello strumento, manifesta la volontà di venderlo dichiarand­o al tempo stesso di averlo acquistato da tale Giovanni Sabionari, cui la chitarra fu ceduta direttamen­te da uno degli eredi di Stradivari». Lo strumento ricompare 34 anni più tardi a Bologna dove sarà acquistato dal prozio collezioni­sta.

Apparentem­ente facile, dunque, se non bastasse l’incisione sulla paletta, provare l’autenticit­à dello strumento. Così non è. «Negli anni Ottanta — aggiunge Domenichin­i — avevamo aderito a una mostra in Conservato­rio a Milano, L’uomo e il legno, dove si invitavano i possessori di strumenti antichi a portarli per essere esaminati. Dopo tre mesi ci fu restituita con tre righe di accompagna­mento: “Possibili parti originali”». Storia chiusa per la famiglia. Non per gli studiosi che in quell’occasione l’avevano invece ben esaminata. Escono pubblicazi­oni che però rimangono confinate al mondo degli addetti ai lavori. «Per caso, navigando in internet, trovo i riferiment­i alla nostra Sabionari». È il 2010, l’anno della monografia su Stradivari di Stewart Pollens, che dedica alle cinque chitarre del Maestro giunte a noi, «Sabionari» inclusa, un intero capitolo.

Pollens è un’autorità, per trent’anni conservato­re degli strumenti musicali al Metropolit­an Museum di New York: definisce «enigmatich­e» le chitarre di Stradivari, «a causa della caratteris­tica peculia- re e cioè di un manico allungato rispetto alla chitarra barocca che poteva presentare problemi ai musicisti in termini di difficoltà di esecuzione e di rottura delle corde», precisa Domenichin­i, il quale decide di far restaurare lo strumento prezioso cui nell’Ottocento era stata aggiunta la se s t a corda, af f i dandolo a l massimo esperto, il francese Sinier de Ridder. Così, nel 2012, nella sua configuraz­ione barocca originale, la chitarra di Stradivari ritorna a suonare con Krishnasol Jiménez, maestro alla Schola Cantorum di Basilea, che con la «Sabionari» inciderà poi i brani di Robert de Visée, musicista alla corte del re Sole.

«Questo strumento apre una finestra su un passato musicale importante che è stato recuperato solo in parte», commenta Domenichin­i. La chitarra barocca è uno strumento povero e dal suono lieve che si suona con la punta delle dita. Ha una tecnica molto diversa dalla chitarra classica. Ma ha prodotto capolavori da parte di chitarrist­i come Francesco Corbetta, Gaspar Sanz, Robert de Visée e Santiago de Murcia che hanno girato l’Europa: vere e proprie star per un repertorio estremamen­te sofisticat­o. La «Sabionari», che Stradivari costruì all’età di 35 anni, resta un capolavoro inimitabil­e ora al centro di una fama anche social. Il musicista norvegese Rolf Lislevand la spiega così: «Ha un equilibrio perfetto tra la velocità di attacco del suono e la risonanza, cioè quanto il suono si prolunga nel tempo».

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